Come è vuota la dacia di Zivago di Emanuele Novazio

Come è vuota la dacia di Zivago Visita alla casa di Pasternak che attende invano di diventare museo Come è vuota la dacia di Zivago DAL NOSTRO CORRISPONDENTE MOSCA — Nella stanza dove Boris Pasternak mori, il 30 maggio del '60, adesso c'è soltanto una foto. Quella che la moglie Zinalda amò più di tutte: presa di busto, una camicia scura dal colletto piccino e diritto, una cravatta a righe sottili, gli occhi Inquieti appena distratti Accanto, un gran cubo coperto di cartone grigio. E, sopra, un ciuffo di mimose già un poco appassite; un mazzo di garofani rossi; un gran ramo di vetrice. l'arbusto di Pasqua. Li hanno portati persone qualunque, amici di un tempo forse; o qualche ospite della vicina .Dom Tvorchestva», il pensionato dell'Unione scrittori. Nella piccola stanza rettangolare, dalle pareti color crema e dal pavimento coperto di linoleum rosa, non c'è altro. Come il resto della dada di legno marrone dove Pasternak abitò dal '39 alla morte, la piccola stanza è vuota, silenziosa, oscurata dalle tende tirate. I mobili, i quadri, i libri li hanno portati via i parenti e gli amici più stretti: in attesa che la dacia, di proprietà dell'Unione scrittori, venga trasformata in museo; in attesa che le pretese e le inerzie della burocrazia svaniscano. Oggi la dacia di Peredelkino, al numero tre di una strada fangosa intitolata a Piotr Pavlenko. uno scrittore che più nessuno ricorda, è luogo di memoria sospesa, interrotta. Uno spazio che si può soltanto riempire d'immaginazione o di storia raccontata e, quasi tramandata: da una voce all'altra, da un amico all'altro. Come nella stanza più grande, dalle pareti color salmone; la »stalovaia' dove Pasternak festeggiò il Nobel la sera del 23 ottobre del '56, insieme allo scrittore Ivanov e al critico Giukovski. Dove il suo corpo fu esposto, prima del funerale, vestito di un abito che fu del padre. Dove lo salutarono gli amici, l'ultima volta; mentre, nella stanza vicina, Svia- toslav Richter suonava Scnabin e Bach. Come al piano di sopra, nella veranda rotonda dove le pareti sono undici finestre bianche a telaio; quella che amava più d'ogni stanza, perché gli ricordava «la tolda di un antico veliero»; quella dove lesse Zivago agli amici, perché nel suo studio non permetteva a nessuno di entrare. Come sul ballatoio verde: dove scende la scaletta del sottotetto, che oggi un catenaccio sbarra. Dove, raccontano, un giovane poeta che aveva timore a mostrarsi insieme con lui, in quei tempi difficili, entrò in casa per abbracciarlo, dopo la notizia del Nobel. Passando da un ramo al tetto, e poi giù per la scala. Come nello studio affacciato al prato, oggi invaso di stoppie e di betulle fragili, appena germogliate. Dove, a un tavolo austero e massiccio, nacque Zivago: Pasternak, raccontano, s'interrompeva volentieri per guardare di fuori; un orizzonte segnato, oggi, da un'onda di palazzoni grigi, lontani, la periferia di Mosca. Ma, allora, soltanto dall'antica chiesa bianca dei tempi di Ivan; e dal cimitero contadino con gli steccati di legno e di ferro celeste. In quel cimitero c'è anche lui, da quasi trentanni, sepolto sotto un gran pino siberiano. Nei giorni della Pasqua ortodossa, la sua tomba si è coperta di fiorì e dei doni rituali: il Kulich, il Pan dolce di Pasqua, la Kutia, 11 cibo funebre fatto col rìso e l'uvetta; e uova dal guscio marrone, bollite insieme alle foglie della cipolla. B giorno di Pasqua, c'era anche un barbone ubriaco, davanti alla tomba. Piangeva, barcollava, muoveva le mani verso la pietra coperta di fiorì. E ripeteva un verso di Pasternak. sempre lo stesso, con la stessa intonazione meravigliata e stordita: •Tu significavi tutto nel mio destino: Emanuele Novazio

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