Se non c'erano Einstein e Marx

Se non c'erano Einstein e Marx CULTURA CONVEGNO INTERNAZIONALE DA OGGI Se non c'erano Einstein e Marx Tra fedeltà agli ideali degli avi e perdita d'identità, gli intellettuali israeliti sono stati i titanici padri delle idee del Ventesimo Secolo - La rivoluzione di Freud - Levy Bruni e Durkheim inventori della sociologia; Mahler a Kafka; Adorno e Lukacs; Joseph Roth e Benjamin; Svevo e Proust - Dalla caduta delle mura del ghetto alle ultime prove diffìcili Dopo diciotto secoli di oppressione e dopo un secolo, l'Ottocento, di ambigua e non completa emancipazione,' si può ben dire che il Ventesimo Secolo, che sta per concludersi,' è stato ed è un secolo cruciale per il piccolo popolo ebraico, una minoranza orinai sparuta e valutata intorno ai 12-14 milioni di persone in un mondo.di oltre tre miliardi di esseri umani. Proprio i numeri, piuttosto aridi permettono di porre in rilievo quanto sia stato incisivo ih Europa l'apporto culturale di questo piccolo gruppo e quanto fecondo. '-.' _ Fino alla.fine del Settento, quasi la totalità degli ebrei era vissuta nei ghetti d'Europa e per gli intellettuali ebrei (salvo qualche caso clamoroso o qualche singolarità eccezionale, si pensi a Baruch Spinoza) l'unico destino possibile era - occuparci del sapere ebraico, cioè della Bibbia, .del Talmud, dello Zohar o dei commentari a questi testi fondamentali o dei commentati dèi commentari. Essere rabbini, cioè ebrei alla ricerca di Dio, era un lavoro intellettuale diffuso e tentilo in considerazione altissima tanto che, per esempio, non i ricchi mai sapienti erano considerati i migliori partiti possibili per un matrimonio di prestigio. Lo studio ossessivo dei testi fondamentali dell'ebraismo fu pressoché l'unica possibile via di scampo per uomini perennemente in bilico e al margine che vivevano una condizione precaria di isolamento e di incertezza esistenziale. L'Ottocento, con la caduta delle mura dei ghetti, portò con sé nuove difficoltà: una emancipazione ancora imperfetta aprì nuovi squarci di libertà ma dette vita a nuove contraddizioni nell'anima ebraica: se per esempio il padre di Cari Marx, il cui vero nome era Levi, scelse la conversione per poter continuare ad esercitare il suo mestiere di procuratore e avvocato, e apparentemente non subì i contraccolpi, della sua conversióne;., jA|tri,.,.pur- percorrendo !a stèssa strada della perdita dell'identità originale e affrontando la via dell'assimilazione,.non riuscirono a evitare laceranti tensioni: Heine e Bòrne, ebrei tedeschi, cercarono di confondersi e mimetizzarsi a Parigi, ma a prezzo di conflitti interiori insanabili. Non così Hoffcnbach o Mayerber: il primo addirittura con il suo sfrenato Can-Can seppe rendersi perfetto interprete delle gaiezze dell'animo francese. Le mura del ghetto ormai sgretolate restarono un simbolo vivente anche se non potevano più proteggere l'intellettuale ebreo dalle tensioni coinvolgenti della società civile e che se prima si scaricavano su un piccolo gruppo, che al suo interno trovava conforto, ora si abbattevano su un individuo spesso impreparato a resistere da solo a una solle- citazione così dura. Molti intellettuali tra Otto e Novecento hanno dovuto subire questo dilemma classico: la fedeltà all'identità.degli avi, il desiderio di integrazione sociale o di assimilazione, la necessità di rispondere alle spinte esteme con nuova forza, il desiderio di annullamento. Ci fu chi cercò di accrescere per necessità il proprio livello di autostima e chi lasciò che si formasse dentro un ine? stinguibile odio di sé. Si pensi, in quest'Ultimo caso, a Otto Weininger che godette con il suo Sesso e carattere di ama vasta popolarità agli inizi del Novecento e che finì, lui ebreo antisemita, per uccidersi nella casa in cui era morto Beethoven. Autostima, quindi capacità di adattamento e di produrre idee anticonvenzionali in condizioni di disagio e di minoranza, e odio di sé, quindi conflitto insanabile all'interno dell'io, possono essere considerati i due poli intorno ai quali si sono scaricati i tormenti dell'intellejtuale ebreo moderno. . Nel Ventesimo Secolo gli intellettuali ebrei più carichi di cultura ebraica hanno continuato a percorrere l'antico percorso degli avi cioè lo studio dei testi sacri, ma accanto a loro un nuovo ricco e frammentato e composito filone si è fatto conoscere: uomini ebrei per origini, ma senza certezze religiose o con tormenti esistenziali più spiccati. Molti di costoro si sono affermati nelle scienze: penso a Albert Einstein che è certo il simbolo degli scienziati, siano essi ebrei o non ebrei, di questo Ventesimo Secolo ma anche numerosi furono i fisici, i medici e i ricercatori di origine ebraica: in Italia, per esempio, tra i più noti Tullio Levi Civita, Vito Volterra e Federigo Enriques. Fino al 1940, con una popolazione ebraica negli Stati Uniti e in Europa che arrivava a una percentuale del 2,4 per cento del totale, ci fu invece una percentuale di Premi Nobel di origine ebraica del 13 per cento. . La Germania ricevette 40 premi Nobel di cui dodici furono assegnati a ebrei e la popolazione ebraica in quel Paese era meno dell'uno per cento del totale: non certo accadde questo a causa di quel pericoloso1 luogo comune che' attribuisce agli ebrei una maggiore . intelligenza ma perché forse finalmente l'antica eredità culturale talmudico-cabalista e una perenne ansietà e incertezza emotiva, riuscirono a trovare un nuovo sbocco fertile e un nuovo im¬ pegno scientifico e civile. Thorstein Veblen, il sociologo che studiò accuratamente questo fenomeno, sostenne che l'intellettuale ebreo, perdute antiche sicurezze mentali, era un potenziale alienato e lo definì «un perturbatore del¬ ta pace intellettuale, un viandante intellettuale che vaga nella terra inesplorata dell'intelletto alla ricerca di un altro luogo dove riposare più innanzi lungo il cammino in qualche altro luogo oltre l'orizzonte». In Francia la sociologia trovò in Lucien Lévy Bruni e in Emi le Durkheim (figlio di un rabbino) i suoi fondatori. Vienna vide nascere la psicoanalisi: erano ebrei Sigmund Freud, Adler, Rank, Saks, Stekel, Ferenczi, Abraham, Reich. A Vienna c'erano inoltre Arthur Schnitzler e Otto Weininger e ancora Gustav Mahler e Zweig e Broch. Gli stessi Wittgenstein e Hofmannsthal e Popper, pur assimilati erano di origine ebraica.. A- Francoforte gravitavano nei primi decenni del Novecento gli esponenti più illustri di quella celebre scuola: Karl Manheim, Erick Fromm e ancora Neuman, Adorno, Horkheimer, Hannah Arendt, Walter Benjamin. Uomini in bilico e al margine che si dibattevano lottando con le loro origini erano anche Ernst Bloch, Gyòrgy Lukàs e Joseph Roth. Attenzione: quando si enumerano per brevità e per dare un esempio sequenze di illustri personaggi ebrei si corre il rischio di accreditare immagini distorte. Qui però, si badi bene non ci sono intenti tesi all'esaltazione del ruolo degli intellettuali ebrei in Europa prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, quanto il desiderio di documentare una fioritura intellettuale rara e che merita, per essere capi' ta, analisi ben più accurate. In questa disordinata raccolta va ricordato anche Italo Svevo che, per nascondere il suo nome ebraico, Ettore Aaron Schmitz, non trovò di meglio che definirsi italo e svevo. Anche Proust, altro celebre personaggio di mamma ebrea proprio tra Otto e Novecento, durante il caso Dreyfus prima e nella sua opera monumentale, Alla ricerca del tempo perduto, poi, ebbe mor . do di esprimere le contraddizioni di un'origine sofferta. A livello politico, soprattutto laddove vie di impegno universitario e scientifico erano precluse (si pensi al numero chiuso in Russia), si sviluppò un impegno ebraico di tipo rivoluzionario: Trockji, Béla Kun, Leon Blum, e ancora Kamenev, Radek e Zinoviev. Simbolo pieno però, del Novecento, è Franz Kafka che con una frase magistrale seppe riassumere il senso di angoscia che provava (si ricordi la sua bella lettera al padre): «Cerco di afferrare il simbolo del Talled (manto di preghiera ebraico, n.d.r.) che mi sfugge». La Legge fu la sua ossessione. Fino ad adesso ho parlato del mondo.di ieri, cioè di una prima metà del nostro secolo, il Novecento. Lo sterminio nazista ha distrutto per sempre Xhumus che ha favorito la cultura ebraica in gran parte di origine mitteleuropea. Dopo la catastrofe il mondo ebraico si è ridisegnato anche geograficamente: un polo importante c'è oggi negli Stati Uniti, dove il trionfo del pragmatismo e della omogeneità sono due fattori di rischio per una cultura di minoranza completamente immersa nella moderna civiltà di massa: può bastare Saul Bellow? La risposta non è semplice. L'altro polo ebraico per eccellenza è Israele, ma la cultura, per esprimersi completamente, deve poter superare le contingenze della sofferenza politica. Questi secondi cinquantanni del Ventesimo Secolo non saranno così interessanti come 'i precedenti. Gli intellettuali ebrei, siano essi rabbini talmudisti o uomini di frontiera, sono però di fronte a prove nuove e difficili e mantengono inalterate antiche lacerazioni e accese ipersensibilità: caratteristiche queste, si badi bene, comuni anche ad ogni intellettuale cosciente di qualsiasi origine esso sia Oggi nuovi ostacoli si profilano all'orizzonte nel nostro mondo. Uno dei problemi da superare è certo, quello della pace nel Medio Oriente, un impegno nobile per tutù e coraggioso. Quando israeliani e palestinesi, ognuno nel loro Stato, collaboreranno insieme in pace, anche l'anima dell'intellettuale ebreo troverà finalmente un po' di tranquillità. E così ci si potrà dedicare di più a costruire una nuova feconda cultura, non solo in Israele o negli Stati uniti, ma in ogni Paese del mondo. Riccardo Calimani Albert Einstein fotografato nel 1920: il fondatore della teoria della relatività era anche un appassionato violinista TORINO — SI svolge per due giorni, cominciando da .questa mattina alle 9, al Centro Incontri di corso Stati Uniti 23, il convegno storica intemazionale su «Ebraismo e cultura ' europea del '900.. E' organizzato dall'Istituto di studi storici Gaetano Salvemini in collaborazione con il Gruppo di studi ebraici di Torino. ■ La manifestazione •intende approfondire alcuni aspetti di un rapporto fra culture spesso più citato superficialmente che realmente conosciuto». Fra gii interventi più attesi, quelli di Sergio Quinzio, di Tullio Regge, dello scienziato e talmudista francese Claude Riveline, del rabbino di Parigi Gilles Rernheim, dello psicoanalista David Meghnagi, dello storico Pier Cesare Rorl, del filosofo Olivier Revault d'AUonnes. Partecipano ai lavori anche Gavriel Levi, Guido Fublni, Guido link, Riccardo Di Segni, Gilles Bernheeim. A Riccardo Calimani, studioso dell'ebriasmo e autore di una «Storia dell'ebreo errante», pubblicata recentemente da Rusconi, abbiamo chiesto questo intervento.