Identikit dell'esule di Sergio Romano

Identikit dell'esule ^MIGRATI O PROSCRITTI? Identikit dell'esule Mussolini attraversò la frontiera con la Svizzera nel 1902 per spirito di «ribellione» e, secondo alcuni, per sfuggire al servizio militare, f Era un «emigrato politico»? Alcuni registi cinematografici (Chaplin, Losey, Dassin) se ne andarono dagli Stati Uniti per sottrarsi alle angherie d'un senatore ' irlandese ' di nome McCarthy per cui gli Studios di Hollywood e le università americane erano stalle d'Augia, infestate da comunisti e «compagni di viaggio». Erano esuli? Toni Negri scappò in Francia per sottrarsi al mandato di cattura della magistratura italiana dopo che la Commissione inquirente decise di privarlo dell'immunità parlamentare. E' un esule? Erario esuli gli ebrei che se ne andarono dalla Russia a cavallo del secolo, i greci che abbandonarono l'Asia Minore dopo la costituzione della repubblica turca di Kemal Ataturk, i tedeschi che fuggirono dalla Polonia dopo la Seconda guerra mondiale? E infine, come definire l'apparizione a Aosta negji scorsi giorni di Maria Jose, «regina di maggio»? Il ritorno di un'«esule»? Non v'è categoria più imprecisa e sfuggente di quella a cui si applica genericamente il nome di «esilio» o «emigrazione politica». A Roma, ai primi di marzo, due istituzioni acca'"miche — l'Ecole Francai» de Rome e il Centro per gli studi di politica estera e opinione pubblica dell'Università di Milano — hanno tentato di definirla chiamando a convegno, nell'ambito di una iniziativa promossa da Charles Pietri, Brunello Vigezzi, Piene Milza e René Remond, numerosi storici italiani, francesi, belgi, olandesi, svizzeri, danesi, inglesi, spagnoli, austriaci, israeliani e tedeschi. Insieme essi hanno disegnato una sorta di epopea dell'emigrazione politica europea dagli esuli italiani in Europa durante il Risorgimento alla corte del1 conte di Chambord nel castello ' di Frohsdorf in Austriadopo il fallimento dell'ultima- restaurazione, dall'emigrazione antifascista in Francia e in America negli Anni Venti e Trenta alla diaspora dell'estrema destra francese dopo la guerra d'Algeria. Per quanto essi abbiano tentato di precisarlo e circoscriverlo il fenomeno resta in buona parte inafferrabile e ambiguo. E' difficile anzitutto quantificarlo. Sappiamo che gli esuli italiani in Piemonte dopo il 1848, di cui hanno trattato Maria Luisa Cicalesc e Ennio Di Nolfo, furono circa trentamila. Ma Emilia Morelli e Jacques Rougcrie hanno ricordato che non è possibile stabilire con esattezza quanti furono gli esuli italiani in Europa nello stesso periodo e i prosaitti della Comune di Parigi dopo il 1870. Quando sopravvivono agli incendi, ai saccheggi e alle rivoluzioni, i diari, gli epistolari e gli archivi di polizia sono lacunosi, enigmatici e talvolta sorprendenti. Accade che lo storico si metta alla ricerca di un esule e trovi lungo la strada un informatore, traditore jer convenienza economica o vocazione di cospiratore. Accade che si metta alla ricerca del rivoluzionario Enrico Cernuschi, protagonista delle barricate di Milano nel marzo del lci48, c trovi un grande finanziere, collezionista di arte orientale, autore di raffinate teorie sul bimetallismo. Accade che si metta alla ricerca dell'antifascista Arturo Labriola, esule a Bruxelles dalla fine degli Anni Venti, e trovi la lettera che egli indirizzò a Mussolini dopo lo scoppio della guerra etiopica per chiedergli d'essere accolto in Patiia. Accade che si metta alla ricerca dell'intelletruale e trovi l'essere umano con le sue debolezze e idiosincrasie. Non appena Alessandro Herzcn raggiun"-: Parigi, nel marzo del 1847, andò a farsi fare un s ..srito da Human, grande sarto della capitale! E Francesco Oe Sanctis ebbe grande diffii'?!tà di adattamento negli ani dell'esilio di Zurigo perché' a lui, napoletano, la rigorosa ••:ntualita degli svizzeri semorava inumana H fenomeno diventa ancor oiù complicato quando si colloca alla frontiera tra politica, economia, -''gione e cultura. Gli emigi a: italiani in Francia, P~Wo e Svizzera durante gii rvnrù Venti e Trenta furo¬ no prevalentemente «economici». Ma. gli studi di Pierre Guillen, Emile Temi me, Eric Vial, Anne Morelli e Alfredo Canavero dimostrano che quell'emigrazione divenne in parte; col passare del tempo, politica perché fu il terreno in cui Turati, Nenni, Salvemini e i fratelli Rosselli svolsero opera di propaganda e reclutamento. Ma l'esempio più interessante e ambiguo è quello dell'emigrazione ebràica alla fine del secolo scorso di cui ha parlato Dan V. Segre, corrispondente di giornali italiani e politologo dell'Università di Haifa. Segre ha ricordato che nelle comunità ebraiche d'Europa vi fu, soprattutto nella seconda metà dell'800, una sorta di esplosione demografica. La popolazione ebraica mondiale contava agli inizi del secolo un milione e mezzo di pascine ed era salita, verso il 1925, a quattordici milioni, con un aumento pari al 900 per cento. 1 14.400 ebrei che abitavano, all'inizio dell'800,' quattordici fra i maggiori centri urbani del mondo (9000 a Varsavia e 4700 a Livorno, tanto per fare un esempio) erano divenuti, nel 1925, quattro milioni e mezzo. Con l'esplosione demografica cominciò un triplice esodo: dall'Europa orientale verso le regioni più ricche dell'Europa centro-occidentale e dell'America, dalle campagne verso le città, dai piccoli centri urbani verso le grandi metropoli della seconda rivoluzione industriale. All'inizio, quindi, un fenomeno schiettamente economi-^ co. Ma le tensioni sociali che risultarono da quell'emigrazione e le trasformazioni culturali del Nazionalismo occidentale nell'ultimo quarto del secolo scorso diedero origine -a un nuovo antisemitismo, assai più radicale dell'antico. II Cristianesimo — ha osservato Segrc — non poteva spingere le persecuzioni sino àll'assassiniopcrch'é' l'ebreo era pur sempre, in una prospettiva cristiana, il testimone del deicidio. Ma-il'naZtohalismo «paJ gano» che a cavallo del secolo cominciò a nutrirsi delle teorie di Nietzsche, dei velenosi articoli di Durmont nella Frante )utvt e dèlia cultura clàssica di Maurras, non conosceva limiti. Svincolandosi dal Cristianesimo l'antisemitismo diventa pagano e totalitario preannunciando i campi di sterminio della Seconda guerra mondiale. Confinata nei ghetti delle città industriali e circondata da una feroce ostilità, l'emigrazione ebraica subisce quindi a cavallo del secolo una profonda trasformazione. Da emigrati economici dell'Europa orientale gli ebrei divengono esuli religiosi e politici di una «nazione» in cui non hanno mai vissuto e di uno Stato che ancora non esiste. E l'arrivo dei primi ebrei in Palestina, dopo la pubblicazione di Der Judenstaat di Theodor Herzl (1895), fu considerato per l'appunto il «ritorno degli esuli». Ma come definire allora l'emigrazione israeliana verso gli Stati Uniti di questi ultimi anni, a cui Segre ha alluso nella conclusione del suo intervento? Un'emigrazione economica o la dissoluzione a posteriori del sogno che un secolo prima aveva trasformato l'esodo sociale degli ebrei dell'Europa orientale in esilio politico e religioso? Se la maggior parte dei dissidenti ebrei che lasciano oggi l'Unione Sovietica decidono di trasferirsi negli Stati Uniti anziché in Israele, qual è il significato della loto scelta? Ecco alcune delle domande poste dall'incontro di Roma. A molte di queste domande il convegno non ha dato risposta. Ma esso ha dimostrato, come ha suggerito Pierre Milza nella sua relazione introduttiva, che l'emigrazione — sia essa economica, politica o religiosa — è un elemento costitutivo dell'identità politica europea. Siamo europei, paradossalmente, perché le guerre, le rivoluzioni e le persecuzioni hanno rimescolato e avvicinato le nòstre società'assai più di quanto non abbiano modifica-, co i nostri confini. Sergio Romano