In fuga dall'Iran sull'autobus della speranza di Roger Boyes

In fuga dall'Iran sull'autobus della speranza Ogni mese, circa settemila «sudditi» di Khomeini riparano in Turchia grazie all'aiuto dei curdi: sono i bus people In fuga dall'Iran sull'autobus della speranza Sotto le vesti, i passeggeri nascondono diamanti grezzi che serviranno per giungere in Gran Bretagna o negli Stati Uniti - «Ne abbiamo avuto abbastanza: troppi giovani sono stati poi-tati via, ogni casa ha perso qualcuno» - Lo slalom tra le mine NOSTRO SERVIZIO AGRI (Turchia orientale) — La cosa peggiore era l'attesa. Per un'ora e mezzo rimanemmo muti, impassibili. Poi il mio compagno, un profugo armeno, si è levato in piedi di scatto come se dovesse pronunciare quei discorsi da fine cena, esclamando: «Eccolo che arriva». Sulle prime l'autobus era un puntino sul parabrezza, ma s'ingigantiva man mano traversava la pianura finché, ansimando per lo sforzo, in una nuvola di vapore che ghiacciava nell'aria, si è fermato, in perfetto orario. E' una corriera americana Anni 50, dal muso squadrato, quella che ogni settimana strappa centinaia di iraniani a una guerra sporca, che nessuno riuscirà a vincere. Li chiamano «bus people» (una definizione fatta per rie¬ cheggiare i «boat people» vietnamiti): sono relativamente poveri, e relativamente fortunati. Legate con le corde al tetto del bus, casse di legno e di cartone. All'interno, le donne tengono la pelliccia addosso perché fa freddo traversare le montagne — l'Ararat si profila in lontananza come un fondale d? teatro, incappucciato di ne» e — e perché, una volta arrivate in Germania Federale, le pelli spuntano buoni prezzi. Le donne, passata la frontiera turca, si tolgono il velo e se lo ficcano in tasca, il volto già truccato per quando saranno a Istanbul, Gli uomini, gente di mezz'età quanto basta per avere passaporto iraniano, hanno sudici pastrani in pelle di pecora. Il bus si ferma: fa il pieno, carica provviste, ac¬ qua, caffè per l'autista, poi si rimette in marcia! Oggi non succederà più nulla ad Agri. Ogni mese, più di settemila iraniani fuggono la loro guerra traversando i valichi di montagna che portano in Turchia. In tutto nel Paese ci sono poco meno che un milione di iraniani, una presenza scomoda di cui i turchi, con là loro prudente neutralità nella guerra del Golfo, amerebbero dimenticarsi Gli autobus giungono in Turchia attraverso tre posti di frontiera: Agri è vicina al più settentrionale. Gli iraniani non hanno bisogno di un visto speciale per Ankara, a meno che il loro soggiorno non duri più di tre mesi. Ma se lo prolungano, nessuno se ne accorge. I bus people in cammino per Istanbul sono quelli più fortunati (anche se non i più ricchi: i benestanti lasciano senza problemi Teheran in aereo). Sotto i vestiti, i bus people nascondono sacchetti di cuoio con diamanti non tagliati per finanziare il passo successivo della loro odissea In genere hanno venduto tutti i loro averi, o almeno quanto potevano vendere senza essere sospettati. Per quelli in età da servizio militare o prossima alla ferma — diciamo 14 anni — il passaporto è una chimera. L'Iran è preoccupato: dopo sette anni di guerra si trova a corto di risorse umane e non incoraggia (per metterla sul morbido) a emigrare o a scansare la ferma Questi potenziali coscritti sono i «fuorilegge». Giungono in aereo a Tabriz, lo scalo più vicino alla frontiera, fanno finta di andarci in vacanza, prenotano gli alberghi. Poi giunge il primo passo nella lune- serie di esborsi, che può vederli finire in Gran Bretagna come negli Stati Uniti. Le guide usate per traversare la frontiera sono solitamente curdi, persino quelli che hanno l'appoggio iraniano. Rotti a ogni impresa, dietro compenso minimo di 8S0 dollari, (circa un milione di lire, ndr) e altrettanto da versare al di là del confine si prenderanno cura dei renitenti alla leva accompagnandoli attraverso i campi minati fino alle prime alture. Ho parlato con uno degli «illegali», che insisteva nel farsi chiamare «Mike»: «Sedevamo in cerchio mangiando yoghurt. Per avanzare espettavamo la notte o quando si pensava che le pattuglie interrompessero il servizio per il pranzo. Le montagne sono piene di caverne, e i curdi le hanno re¬ se quasi abitabili. Ma abbiamo appreso con terrore un giorno o due dopo che l'accordo da parte turca era saltato e che i curdi ci avrebbero tagliato la gola». I curdi giocano su molti piani. Combattono, naturalmente, per l'indipendenza curda e di conseguenza sfruttano la guerra Iran-Iraq. Il Partito dei lavoratori curdi presta servizio, come forza irregolare, dietro le linee irachene, ma si sa che nei suoi raids è giunto in Siria e Turchia. I curdi non rispondono alle pur ampie categorie della politica mondiale; piuttosto, combattono battaglie sanguinose tra le diverse famiglie, mentre tirano avanti con il vecchio mestiere di contrabbandieri. L'ultimo colpaccio, da 160 mila dollari (circa duecento milioni di lire), l'hanno messo a segno con banconote false stampate a Beirut e contrabbandate in Turchia dal Partito dei lavoratori. «Ne abbiamo avuto abbastanza» dice un uomo che pare sopravvissuto a un naufragio. Ha imparato l'inglese a Bournemouth e vuole impiantare un'agenzia di viaggi nel -New Mexico. «Troppi giovani sono stati portati via, ogni casa ha perso qualcuno o è stata in qualche modo toccata». I passeggeri parlano d'una specie di paralisi sociale a Teheran. Nessuno vuol intraprendere nuovi progetti o avere altri bambini sinché non si farà chiarezza su che cosa o chi verrà dopo l'ayatollah Khomeini. Roger Boyes Copyright «Times Newspapers» e per l'Italia «La Stampa»

Persone citate: Khomeini