Un Turati con troppi difetti

Un Turati con troppi difetti La pur notevole biografia di Monteleone, con un eccesso di ideologia, riduce il leader socialista a un «riformista debole e subalterno» Un Turati con troppi difetti IL lavoro che Renato Monteleone ha dedicato a Turati, e che va suscitando tante polemiche, 6 a mio avviso insieme molto serio e assai discutibile. E' un libro serio come 11 suo autore, uno degli studiosi italiani della storia del movimento operaio più impegnati. E subito bisogna.riconoscergli una Importante qualità: aver scavato nella personalità di Turati, il suo ambiente familiare, il rapporto con la madre, le amicizie giovanili (specie con Ohisleri e Blssolatl), l'incontro decisivo In tutti i sensi conia Kulisciof f, l'iter che si concluse prima con l'adesione ai valori del socialismo e poi con il diretto coinvolgimento pratico, danno luogo a belle pagine. Qui Monteleone ci dà una biografia che, secondo le sue stessè parole, -rientra in gran parte nel genere di quelle che si definiscono introspettive, o intime, o psicologiche- e che -indugia molto sul versante del privato: Sotto questo profilo la promessa appare appieno mantenuta. Se non si può dire che l'autore provi molta simpatia per 11 suo personaggio (perché dovrebbe?), certo nutre un coinvolgente interesse. In effetti, la ricostruzione di Monteleone, là dove segue Turati nella giovinezza, ne mette in luce il consolidarsi della personalità, studia la sua biblioteca, analizza «Turati com'era», è di molta qualità. E costituisce, credo, il meglio del libro. L'analisi dell'attività politica di Turati ha il carattere di una lunga riflessione sulle sue carenze, davvero senza tregua. La chiave interpretativa di Monteleone è la seguente. Turati intorno a metà Anni 80 aveva elaborato alcuni punti chiave che rimasero sostanzialmente invariati per quasi cinquant'annl. -Aderiva già — scrive l'autore — a una concezione evoluzionistica della vita e della storia; confidava nella possibilità di trasformare in modo graduale e riformistico l'assetto sociale; credeva nella necessità di organizzare i lavoratori politicamente e sinda¬ calmente; attribuiva un ruolo etico-pedagogico ai quadri dirigenti intellettuali; sosteneva la prassi legalitaria e le alleanze aperte alle forze della borghesia progressista: Potremmo dire che gran parte dell'analisi di Monteleone sia una sorta di dimostrazione dell'Insufficienza di un simile bagaglio culturale e politico. L'unico merito, Importante che l'autore riconosce senza riserve a Turati — se non sbaglio — è il ruolo che egli giocò nella fondazione del partito socialista. Per il resto, Monteleone addebita a Turati di essere rimasto nel corso di tutta la sua vita -invischiato nella contraddizione del riformismo-, vale a dire nella incapacità di capire che il riformismo può «svilupparsi solo finché risulta inoffensivo agli occhi del potere e alla sopravvivenza del sistema-. Insomma Turati, spinto da una inadeguata coscienza dei presupposti dell'autonomia dell'azione proletaria, rimase subalterno a Gioiitti; non andò oltre gli orizzonti del patriottismo borghese; non senti l'impegno internazionalista; e non ebbe una concezione attiva e virile della difesa della democrazia quando essa venne minacciata e travolta dal fascismo. Un riformismo legalitario era condannato a produrre una strategia di passività. Durante la guerra, Turati non comprese la natura del conflitto, non comprese il significato della rivoluzione russa; nel dopoguerra, non comprese la natura del fascismo, e si illuse che si fosse aperta un'era di conquiste riformistiche e democratiche. Facendo riferimento anche a momenti successivi di riflessione autocritica di Turati, Monteleone gli rimprovera di non aver capito la necessità di «scegliere la violenza rivoluzionaria contro quella della reazione-, contro cioè la violenza fascista. Mentre dunque, trovo che tutta la prima parte della biografia dia notevoli risultati, non mi pare avvenga altrettanto nella seconda parte: quella dedicata alla lea¬ dership politica di Turati L'analisi corre Infatti troppo sul filo di una dialettica che ha come poli da un lato Turati come singolo e dall'altro le categorie politico-Ideologiche che l'autore fe valere. Turati in fondo risulta assai poco confrontato con le alternative reali che nella sua epoca esistevano all'Interno del movimento operalo italiano. Una prospettiva che, se assunta, avrebbe reso il tutto più complesso. Ed è singolare quanto poco l'autore faccia parlare testi fondamentali di Turati che, se pur certo noti, dovevano essere a mio avviso introdotti in quanto iliuminanti. Scivola su momenti cruciali, quali ad esempio il congresso di Livorno del 1921 e la scissione comunista, dove Turati mise in luce una consapevolezza delle differenze .fra Oriente e Occidente che avrebbe meritato una adeguata attenzione per 11 suo non casuale significato. E poi il pur per molti versi persuasivo esame delle debolezze di Turati nel primo dopoguerra risulta troppo isolato dal contesto di ciò che è stata la debolezza, seppure variamente radicata, dell'insième delle componenti del movimento operaio italiano. In tal modo, ho l'impressione che un problema storico ampio e complesso diventi una questione di prevalenti e quasi personali responsabilità del riformista Turati. Ecco come Monteleone indica, in un punto del libro, tutti 1 «difetti» di Turati: «la disattenzione ai problemi della politica estera, là debolezza dell'opposizione parlamentare, i cedimenti al militarismo, gli equivoci del lealismo patriottico, la paura per le sorti dell'organizzazione burocratica, la suggestione dello statalismo, il mito deformante della .modernizzazione, i limiti della strategia preventiva e legalitaria-. Massimo L. Salvador! Renato Monteleone, «Turati», Utet, pp. 583, L. 48.000.

Luoghi citati: Gioiitti, Livorno