La storia di Schumann cattivo orchestratore è proprio una favola di Giorgio Pestelli
La storia di Schumann cattivo orchestratore è proprio una favola Tre Compact disc con Bernstein direttore La storia di Schumann cattivo orchestratore è proprio una favola CHE Schumann fosse un cattivo orchestratore è una vecchia idea che si tramanda da un libro all'altro; e si sa di molti direttori che sono intervenuti a modificare questo o quel passo perché nell'originale «non suona bene»; in realtà, questo non suonare bene voleva dire non uniformarsi al canone beethoveniano e cercare altre consistenze sonore. Certo, alcuni passi, della revisione della Sinfonia in re minore presentano sonorità stoppose rispetto alla versione originale, ma il discorso riguarda l'involuzione accademica del compositore, non la presunta incapacità di orchestratore (come se poi l'orchestrare fosse un'operazione davvero separabile dal comporre stesso). La mano che ha scritto la scena della cascata nel Manfred è quella di un sommo poeta dell'orchestra; e nessuna persona assennata penserà che la monocromia di certe pagine, come il Requiem per Mignon, non sia una qualità ricercata di proposito per ragioni poetiche. Ad ogni buon conto, una beila rinfrescata della questione si può fare ora con tre Cd della Deutsche Grammophon in cui Léonard Bernstein ha registrato dal vivo (ma dove? e quando?) le quattro Sinfonie, il Concerto per pianoforte e quello per violoncello con rispettivi solisti Justus Frantz e Mischa Maisky (per una futura edizione completa dell'opera sinfonica, oltre naturalmente alle Ouvertures, bisognerà includere anche la Sinfonia in sol minore del 1832, completa in tre movimenti più un frammento, ora pubblicata dalla Peters a cura di Marc Andreae). La meno eseguita delle Sinfonie è quella in si bemolle, scritta con le ali ai piedi fra gennaio e febbraio del 1841, oggi nota come Prima Sinfonia, oppure Frùhlingssinfonie («Primavera»): può muovere di qui la constatazione della vena sinfonica di Schumann, complice Bernstein che scrive a suo modo un saggio sulla trasparenza e la varietà coloristica dell'orchestrazione schumanniana. Il motto di trombe e corni che apre l'opera ha un piglio ciaikovskiano, anche se deriva da un omaggio alla Sinfonia in do («La Grande») di Schubert; nella coda, alla festosa ricapitolazione dei temi principali, si unisce il triangolo, voce argentina piuttosto estranea alla seriosità del genere sinfonico, qualche anno dopo ripresa da Llszt nel suo primo Concerto per pianoforte e orchestra. Nel Larghetto centrale, quasi romanza senza parole, la prima frase degli archi ricorda uno spunto di Kreisleriana; dalla' quale deriva, pari pari, un tema del finale, trasformato in marcia di oboi, fagotti e archi in pizzicato: 1 capolavori pianistici traboccano, come già sui Lieder, anche sulle pagine sinfoniche e forse viene di qui il complesso d'Inferiorità attribuito alla scrittura orchestrale del compositore. La cui ricchezza di soluzioni è poi testimoniata in modo evidente anche dai due Concerti: in quello per pianoforte, l'orchestra tende ad aprirsi al solismo del prediletto oboe, di clarinetto e violoncello, nel Concerto per violoncello op. 129 tende a chiudersi affettuosamente sul solista, ad avvolgerlo in tiepide spirali. Qualche durezza nel pur ragguardevole pianista Justus Frantz; splendido per sincerità di accenti il violoncellista Maisky. Giorgio Pestelli Robert Schumann: «Quattro Sinfonie, Concerto per pianoforte, Concerto per violoncello». Wiener Philarmonlker diretti da Léonard Bernstein, pianista Justus Frantz, violoncellista Mischa Maisky. Tre Cd Deutsche Grammophon. La casa natale di Robert Schumann
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