Politbjuro di Sergio Romano

Politbjuro Politbjuro Société Generale, cosmopolita) all'interno d'uno Stato nazionale. Con il risultato paradossale che Lucchini rimprovera a Goria, come è accaduto in Indonesia, la scarsa sensibilità del governo per le esigenze dell'industria italiana nei mercati del Sud-Est asiatico mentre il mondo economico italiano, a giudicare dalla Borsa, sembra considerare l'assenza del governo, a Roma, come una sorta di «variabile indipendente» nei propri programmi di sviluppo. Meno decifrabile, a prima vista, il comportamento dei sindacati e della diplomazia. Se il datore di lavoro, contro cui le organizzazioni sindacali promuovono le loro agitazioni, è lo Stato — come nel caso della scuola, delle ferrovie e in parte del trasporto aereo — una crisi governativa dovrebbe necessariamente interrompere ogni vertenza. Se la visita di un uomo di Stato straniero deve servire a chiarire problemi e a prendere impegni, la crisi dovrebbe suggerire quella che si chiamava, in altri tempi, con eufemismo diplomatico, una pausa di riflessione. Se oggi, a differenza di quanto accadeva qualche anno fa, queste tregue e queste pause non sembrano più necessarie, la ragione è nell'evoluzione del sistema politico italiano. Non abbiamo tregue perché la crisi non investe il governo del Paese, ma più semplicemente il ministero, vale a dire il comitato esecutivo su cui i partiti si accordano per la gestione politica e amministrativa della Nazione. La vera dirigenza italiana sono per l'appunto i partiti i quali sono caratterizzati, a differenza del ministero, da una fortissima stabilità organizzativa e compongono o ricompongono il loro governo di fatto secondo norme che non hanno nulla a che vedere con quelle della Costituzione. Abbiamo per certi aspetti una situazione analoga a quella che si produrrebbe in un Paese comunista se la direzione e la struttura del governo attraversassero una lunga fase di riorganizzazione. Tutti terrebbero d'occhio l'ufficio politico del Comitato Centrale e a nessuno verrebbe in mente di pensare che il Paese è senza governo se l'ufficio politico tenesse regolarmente le proprie riunioni set¬ timanali. E poiché gli uomini più rappresentativi del governo siedono contemporaneamente al Comitato Centrale e all'ufficio politico, a nessuno verrebbe in mente di pensare che il Paese è privo di «dirigenza» politica. Quando constatammo parecchi anni fa che le crisi in Italia erano tutte extraparlamentari avremmo dovuto prevedere che anche gli interlocutori del governo, prima o dopo, si sarebbero comportati di conseguenza e avrebbero indirizzato i loro messaggi al governo reale scavalcando, se necessario, il governo formale. I sindacati della ferrovia e della scuola sanno che la crisi può modificare il ministro del Lavoro e quello della Pubblica Istruzione, ma non la struttura di potere da cui dipende in ultima analisi la politica dei trasporti e quella della scuola. E Shamir sa che venendo a Roma incontrerà sempre, quali che siano le loro responsabilità del momento, gli uomini di cui si compone la «dirigenza» italiana e da cui dipende in ultima analisi l'atteggiamento del Paese nella crisi medio-orientale. Non vorrei avere dato la sensazione che tutto è per il meglio nel migliore dei mondi possibili. Che l'Italia sia assai meno instabile di quanto non si credesse una volta all'estero è una verità che conoscono da qualche tempo anche i politologi americani. Ma non basta avere un governo. Occorre anche sapere con esattezza come è composto, quali sono le sue funzioni, a quali regole del gioco e controlli costituzionali esso è soggetto. Per la Borsa, i sindacati e Shamir ciò può essere irrilevante, per i cittadini italiani no. Sergio Romano

Persone citate: Goria, Lucchini, Shamir

Luoghi citati: Indonesia, Italia, Roma