Svastiche in tasche viennesi di Alfredo Venturi

Svastiche in tasche viennesi «AUSTRIA DALtaNSCHLUSS AL CASO WALDHEIM Svastiche in tasche viennesi — « — :—________________ «Appartengo alla generazione criminale», dice lo storico Wandrnszka • Cinquant'annì fa «volevamo l'annessione al Reich non perché eravamo nazisti; diventammo nazisti perché volevamo l'annessione» - Pur discordi sui motivi, altri studiosi confermano che il Paese spalancò le porte a Hitler • Un'immagine a lungo rimossa, che ora accende una lacerante polemica DAL NOSTRO INVIATO VIENNA — «n mio bracciale con la svastica, per un sacco di tempo ho dovuto tenerlo in tasca. E' stata una gioia, quel giorni di marzo di cinquantanni fa, quando finalmente ho potuto metterlo al braccio». Cosi dice Adam Wandruszka, 73 anni, storico dell'età contemporanea. Nella morbida atmosfera di un caffè viennese, il professore trae la sua lezione, stavolta, dal ricordo personale. Ha avuto gualche perplessità prima di confidarsi (.Che cosa vuole da me? Io appartengo alla generazione criminale!.;, ma ora lo fa con estrema franchezza. Allora, nei giorni dell'Anschluss, Wandrnszka era un laureato ventitreenne. Nazista? Si, lo era, e per una ragione ben precisa: perché voleva, come molti austrìaci, l'annessione alla Germania. Ecco perché il giovane intellettuale sitportava in tasca la croce uncinata, ansioso di metterla al braccio. L'ideologia non c'entrava proprio niente. Anzi c'era una certa avversione, in famiglia, per le farneticazioni hitleriane. •Avevo un ciuffo, da ragazzo, che mi ricadeva sulla fronte, e mia madre me lo ricacciava indietro: lo sai che non lo sopporto, mi diceva». In realtà, quello che non sopportava era il richiamo, implicito nel ciuffo ribelle, di un'immagine sgradita: quella del violento tribuno austriaco che aveva conquistato la Germania. Afa poi ecco l'Anschluss, la grande parata sul Ring viennese, i trecentomila inneggianti a Hitler sulla Heldenplatz. .Mia madre accettò tutto questo: "Apparteniamo di nuovo a una grande potenza", mi disse». Mentre l'Austria, nellinfu■ rione - del caso Waldheim, si' accinge a fare i conti coti qiu&to^ìmnmersàTtU vosi pev naso, cosi psicologicamente scomodo, Wandruszka insiste sulla necessità di una distinzione. Cinquantanni fa avvennero due cose in una: da una parte la confluenza di un piccolo Stato tedesco in un grande Stato tedesco, dall'altra un episodio espansionistico del Reich hitleriano. Il primo aspetto della questione non ha niente a che vedere con il secondo: corrispondeva a una tendenza che si manifestò in Austria dopo la disfatta del Diciotto, e coinvolgeva molte opzioni politicìie. •Allora la Germania pareva incamminata verso il socialismo, e i socialisti austriaci volevano l'Anschluss: anche 11 giovane Bruno Kreisky». Ma non lo volevano i francesi, né gli italiani, timorosi di una Germania troppo grande, e cosi la Conferenza della pace creò dai frammenti dell'Impero asburgico quell'Austria ridotta ai minimi termini. Un corpo troppo piccolo con una izsta smisurata, Vienna: per giunta affollata di un soprannumero di funzionari: Perché la celebre burocrazia imperiai-regia era quasi esclusivamente di nasione,tedesca, e quindi dalle province perdute affluiva 'verso-la-minuscola Austria residua. Ma che cosa c'era mai da amministrare, in quello staterello di boschi e vallate, quasi privo di strutture industriali? Logico che prendesse piede l'idea dell'Anschluss, logico che questa idea, respinta a Versailles, venisse raccolta dai nazisti, che del revisionismo rispetto alla Conferenza della pace aveva■no fatto una delle loro bandiere. Il principio di nazionalità aveva distrutto la grande Austria imperiale, mosaico di popoli? Ebbene, in nome dello stesso principio il frammento tedesco dell'impero bussava alla porta di una più grande patria germanica. C'era al fondo un richiamo di ordine molto più storico-culturale che politico, e non necessariamente quel richiamo si manifestava nella rivendicazione attiva dell'Anschluss. Per esempio, ecco il caso di un maestro di scuola che vive quegli anni difficili in un villaggio del Wienerwald. Porta come molti austriaci un cognome slavo e lo vuole cambiare: e cosi sceglie all'anagrafe un bel nome tedesco. , Un nazista? Tutt'altro: i, un cattolico. avverso-. all'hitlerismo, e quelli della croce uncinata gli tendono la vita difficile. Epilogo di questa storia personale: al nome nuovo che si è dato il maestro, Waldheim, il figlio Kurt assicurerà una risonanza mondiale. E' i' nome intorno al quale, oggi, questo Paese interroga se stesso. Dunque non fu per trasporto ideologico ma in virtù del principio di nazionalità che l'Austria spalancò le sue porte a Hitler. E le svastiche, fiorite con tanta abbondanza quella fatale primavera? Wandruszka insiste: «Non è che volessimo l'Anschluss perché eravamo nazisti, il discorso va ribaltato, eravamo nazisti perché volevamo l'Anschluss*. Del resto non si può certo dire che la Wehrmacht si impadronì di un Paese democratico: dall'austrofascismo cattolico di Dollfuss e Schuschnigg al nazionalsocialismo di Hitler non c'è poi un abisso in fatto d'ideologia. Per esempio l'antisemitismo in Austria preesisteva all'Anschluss, anche se soltanto dopo il '38, con l'estensione alla Marca Orientale delle leggi di Norimberga, diverrà sistemàtica prassi di discriminazione. c ,, Dollfuss e Schuschnigg, come è ben noto, cercarono di conservare la sovranità austriaca. Ma lo fecero in un modo che non poteva essere più sgradevole per l'opinione pubblici: lo fecero appoggiandosi all'Italia. Wandruszka ricorda quanto l'Italia fosse odiata in Austria. Può ben dirlo lui, che viene da una famiglia con sangue italiano (e tedesco, e slavo) nelle vene. C'è di mezzo, naturalmente, la Grande Guerra, il rovesciamento d'alleanza da parte di Roma. .Mio padre è morto nel '16, io avevo appena due anni per un attacco con i gas proprio sul fronte italiano. Oggi non potrei dire chi aveva lanciato quei gas: è anche possibile che fossero gas austriaci ricacciati indietro dal vento. Ma allora non avevo dubbi: desideravo una guerra contro l'Italia per vendicare mio padre.. Possiamo bene immaginare quanto gliene importasse, al giovane Adam con la sua svastica in tasca, di un'Austria indipendente garantita da Mussolini. Del resto Mussolini, ormai, non garantisce più niente. Eppure, secondo lo storico Fritz Rebhann non è vero quanto comunemente si dice, che cioè il governo guidato dal cancelliere nazista Arthur Seyss-Inquart, salito al potere dopo le drammatiche dimissioni di Schuschnigg, desiderasse l'invasione. «D famoso telegramma sventolato da Hitler, con la richiesta di aiuto da parte di Vienna, era una manipolazione.. Tutto infatti restò in forse fino alla vigilia dell'Anschluss, e gli ultimi dubbi furono troncati proprio dall'iniziativa militare hitleriana. Rebhann illustra la sua tesi in un libro recentissimo: Bis in den Tod: Rotwelssrot (Fino alla morte: Rosso-bianco-rosso). Sono questi i colori nazionali austriaci, che cinquant'annì fa contrassegnavano l'opzione indipendentista e repubblicana, contro il bruno dei nazisti, contro il giallo-nero dei monarchici. Nel dibattito in corso, la tesi di Rebhann si scontra con quella di un altro storico, Erurin Schmidl. In un suo studio, Marz '38 - Der deutsche Einmarsch In Oesterreich (Marzo '38 - L'irruzione tedesca in Austria), Schmidl sostiene che la presa del potere a Vienna da parte di SeyssInquart aveva reso del tutto superflua quella operazione militare. .L'opzione della resistenza era già stata esaminata e scartata da Schuschnigg: con l'argomentazione che non si voleva spargere sangue tedesco*. Del resto l'entusiastica accoglienza popolare alle truppe hitleriane dimostrò in modo clamoroso da chi j- arte stava la maggioranza ti. ila gente. E' proprio la dimostrazione che molti austriaci sono stati, così a lungo, tentati di rimuovere. E che oggi, alle coscienze lacerate dalla torbida vicenda Waldheim, ripropone la traumatica verità: l'Austria del Trentotto, un Paese fascista che si lancia con gioia fra le broccia armate del Reich hitleriano. Con molte eccezioni, certo, individuali ma anche di gruppo sociale: per esempio fi la piccola, nobiltà restò monarchica in fonda al cuore, sognava il giovane pretendente in esilio, Otto d'Asburgo, incoronato a Santo Stefano. Ma lui, Otto, sì proclamò disposto a fare il cancelliere in un'Austria repubblicana. Con l'eccezione, ancora, di quelle coraggiose minoranze che presto conosceranno attenzioni della Gestapo. Saranno decine di migliaia gli oppositori arrestati nei primi mesi dopo l'Anschluss. Ma il regime nazista non mieterà soltanto teste ostili, nella vecchia Austria: ne riceverà anche un robusto contributo di quadri attivi: non a caso il corpo speciale delle SS sarà, considerando il rapporto demografico, più austriaco che tedesco. Il clima psicologico dominante, nella Vienna delle Idi di marzo di mezzo secolo fa, è contraddistinto da un'euforica ebbrezza. Ecco per esempio un curiosissimo dettaglio. Dopo l'occupazione dell'Austria, Hitler mandò a Mussolini un telegramma: «Vi ringrazio, Duce, per il vostro atteggiamento.. Di che cosa il FUhrer ringraziava Mussolini? Di essersetie stato tranquillo, naturalmente, di avere accettato l'ineluttabile nonostante il vecchio impegno a proteggere l'indipendenza austriaca. Ma questo a Vienna non si sapeva, e cosi, racconta Wandruszka, quando si sentì del grazie di Berlino a Roma, :i pensò subito che Mussolini aveva mollato l'Alto Adige. ■Sfilammo in corteo, pazzi di gioia urlando SUdtirol ist frei, l'Alto Adige è Ubero!». In quelle stesse ore, al Brennero, le truppe di montagna tedesche appena arrivate dalla Baviera fraternizzavano con gli alpini italiani di guardia alla frontiera. Erano soltanto quattro anni eppure sembrava passato un secolo da quando, dopo la congiura nazista contro Dollfuss, Mussolini aveva ammassato divisioni dietro quel confine perché non voleva sul collo, parole sue, «il peso di settanta milioni di tedeschi». Ma ora quel peso gravava più che altro sugli ebrei d'Austria. Wandruszka ricorda i cori antisemiti che risuonarono, quella fatale primavera, nelle strade viennesi. Ci sono momenti nella storia dei popoli che fanno affiorare le cose peggiori dal fondo della coscienza collettiva. «Lo stesso Lumpenproletariat, la stessa plebaglia che nel Diciotto strappava le mostrine agli ufficiali sconfitti, aveva trovato un nuovo diversivo: la caccia all'ebreo». Alfredo Venturi Salisburgo, marzo 1938. Tra saluti nazisti e bandiere con la croce uncinata, la folla saluta la sfilata delle truppe di Hitler