L'Europa paradiso dei pirati d'uranio di Fabio Galvano
L'Europa paradiso dei pirati d'uranio L'Europa paradiso dei pirati d'uranio DAL NOSTRO CORRISPONDENTE BRUXELLES — L'uranio scuote l'Europa. A poche settimane dallo scandalo legatp alla Transnuklear tedesca, i cui traffici con la centrale belga di Mol potrebbero essere sfociati nella fornitura di materiale fissile a Paesi come là Libia e il Pakistan, si scopre che attraverso uno «scambio di etichette» negli impianti europei certe partite di uranio sudafricano sarebbero finite negli Stati Uniti, nonostante l'embargo decretato da Washington nel gennaio 1987; peggio, che tutto ciò è accaduto non in seguito ad attività illecite, come ha affermato nel suo ultimo numero il settimanale tedesco Der Spiegel, ma nel pieno rispetto del regolamenti Euratom, l'Ente europeo per l'energia atomica. Parallelamente si scopre che l'Australia — con Canada e Stati Uniti uno del tre grandi produttori d'uranio — ha avviato un'inchiesta per accertare se, attraverso le manipolazioni negli impianti che fanno capo all'Euratom, le sue forniture siano state arricchite eccessivamente, cioè rese adatte a un uso militare che è invece formalmente escluso nel quadro delle vendite. Il governo di Camberra ha incaricato dell'indagine le sue tre ambasciate a Bruxelles, Bonn e Vienna: secondo lo Spiegel, infatti, l'uranio australiano sarebbe stato arricchito al 93 per cento anziché al 20 autorizzato; se risultasse vero, crescerebbe la polemica che già scuote l'Australia e il primo ministro laborista Bob Hawke per le vendite di uranio a una Francia colpevole di proseguire 1 suol esperimenti nucleari nel Pacifico. Anche la «questione australiana» si lega agli scambi di etichette: in gergo nucleare «flag-swapping». E si scopre, cpme ha precisato a Bruxelles il direttore generale dell'Euratom, Georg von Klitzlng, non solo che tali scambi sono del tutto leciti, ma anche che l'embargo Usa all'uranio sudafricano non riguarda i quantitativi trattati in Europa. Il flag-swapping è meglio spiegato con un esempio. Un operatore che possieda un carico di uranio destinato a una centrale europea e costituito per l'80 per cento da uranio canadese e per il 20 da uranio australiano può. ottenere dall'Euratom 11 consenso ad etichettare tutta la fornitura come «canadese»; a condizione, naturalmente, che un altro operatore accetti di etichettare come australiano lo stesso quantitativo di uranio canadese che sia del medesimo tipo. Come ha spiegato Von Klitzing, gli stessi trattati bilaterali fra l'ente europeo e i Paesi produttori prevedono tale meccanismo, che risponde ad esigenze pratiche. Per quanto riguarda il Sud Africa, Von Klitzlng ha riconosciuto che l'Europa non ha nessun embargo contro l'uranio di Pretoria; e quindi, implicitamente, che talune forniture trattate in Europa possono essere davvero finite negli Stati Uniti. E' una realtà dovuta al ristretto numero di Impianti per l'arricchimento dell'uranio, sei in tutto 11 mondo: uno negli Stati Uniti, uno nell'Unione Sovietica e quattro nei Paesi Cee. Questo particolare, ma anche la preoccupazione dell'Euratom di rispettare il trattato di non proliferazione controllando più la destinazione delle esportazioni nucleari che l'origine delle importazioni, può avere indirettamente vanificato talune decisioni di carattere politico; mai — ha tuttavia dichiarato il direttore dell'ente europeo — si e volutamente scambiata l'etichetta dell'uranio sudafricano per aggirare l'embargo Usa. Fabio Galvano
Persone citate: Hawke, Von Klitzing
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