1943-'45 storie di morti dimenticati

1943-'45, storie di morti dimenticati I discussi casi di Leopoli e Deblin richiamano l'attenzione sul calvario dei nostri soldati catturati dai nazisti 1943-'45, storie di morti dimenticati La direttiva di Hitler. «Per i militari italiani internati varranno norme particolari» - A Hildesheim, in Bassa Baviera, 130 prigionieri vengono impiccati dalle SS poco prima della fine della guerra - A Treuenbrietzen altri 150 sono massacrati con raffiche di mitragliatrice Accadde nel marzo '45 ad Hildesheim, In Bassa Baviera, a pochi chilometri da Hannover, mentre la guerra stava per finire. Era 11 lunedi delle Palme e quel giorno, fra le 13 e le 13,20, un bombardamento aereo americano rase al suolo mezza città: cosi, per sgomberare le macerie, 11 borgomastro chiese l'Intervento del cinquecento Internati militari Italiani del vicino campo di Barienrode che arrivarono l'Indomani e lavorarono dall'alba al pomeriggio Inoltrato. Ma quando, a sera, 1 soldati si avviarono per rientrare al lager, un reparto di 88 bloccò una delle colonne; quella di 130 uomini guidata dal sergente maggiore Francesco Paolo Potena, di Capracotta (Campobasso) e la trasferirono nel cortile del carcere. Erano tutti soldati trentini, romagnoli, veneti e marchigiani ma con loro si trovavano anche tre piemontesi (Egidio Boero, 30 anni, di Torino; Mario Tealdo, 23 anni, di Vesime d'Asti; Francesco Viberti, 32 anni, cuneese di La Morra) e cinque liguri: Mario Villa, di Savona, Aurelio Siffredi, di Villanova d'Albenga, e l genovesi Giacomo Bozzano, Emiliano Cappellini e Marcello Pastorino. Nei tre giorni che seguirono (e per questo la strage fu chiamata «la Settimana Santa di Hlldeshelm») gli italiani vennero prelevati a gruppi, legati con le mani dietro la schiena, condotti sulla piazzetta del municipio e Impiccati a sette per volta. Hildesheim fu occupata dagli alleati fra il 6 e 11 7 aprile '45 e un reparto americano abbatté quel patibolo che le SS, prima di fuggire dalla citta, non avevano fatto Li tempo a smontare. Negli stessi giorni, a Treuenbrietzen, campo per internati militari a sud di Berlino, centocinquanta no- stri soldati, fra 1 quali Ermenegildo Boasso, di Prtero (Cuneo), Pietro Ce rutti, di Borgomanero (Novara), Giuseppe Mazzucco, di Canale d'Alba, e Ubaldo Raimondi, di Bergamasco (Alessandria) furono radunati dalle SS, condotti In una cava di ghiaia lungo la ferrovia Potsdam-Wittenberg e abbattuti a raffiche di mitragliatrice (e racconterà uno dei due superstiti, 11 soldato Edo Mangiai ardi, classe 1922, di Ancona, che, a uno del morenti che invocava la madre, un tedesco gridò ridendo: *Wo ist piamo?*, «Dov'è la mamma?»). Furono queste, probabilmente, le ultime due stragi di internati militari italiani avvenute in Germania nel tragico biennio 1943-1945. Ma quanti altri massacri — di quali entità, in quali luoghi, In quali circostanze — li precedettero, non è possibile dirlo perché, per l'ignavia o l'indifferenza dei ministeri, degli uffici storici, degli Stati maggiori, delle commissioni di Inchiesta governative, poco o nulla sappiamo quarantanni dopo di eccidi spaventosi come quelli che sarebbero stati scoperti a Leopoli e, più di recente, a Deblin, anche se prove di questi fatti non ce ne sono e, come attestano gli storici, sarà ben difficile trovarne. •Nella complessa geografia della seconda guerra mondiale c'è un continente ancora oggi in gran larga inesplorato, Quello della deportazione militare in Europa*, dice lo storico tedesco Gehrard Schreiber, che insegna a Friburgo e che nel novembre scorso partecipò a Torino, a Palazzo Lascaris, al convegno su prigionieri, internati e deportati italiani intitolato, significativamente, «Una storia di tutti». Secondo Schreiber, Infatti, non esistono documenti negli archivi della Wehrmacht né In quelli del ministero nazista degli Esteri che consentano di ricostruire, sia pure in termini approssimativi, le tappe del lungo dramma dei 575.000 soldati e 40.000 ufficiali italiani disarmati e catturati dai tedeschi all'8 set¬ tembre '43 quando il nostro Paese abbandonò la guerra e firmò l'armistizio agli anglo-americani. Spiega Schreiber che fra i documenti riguardanti la deportazione militare in Germania sono andati perduti i rapporti mensili dai 233 campi che sarebbero i soli in grado di consentire un calcolo sul numero degli internati, sul loro spostamenti da un lager all'altro e sulle cause del decesso (la pignoleria nazista, infatti, non arretrava neppure dinanzi alle stragi: nei Totenbuch, i ■libri della morte» del campo di sterminio di Mauthausen, sono annotati 1 nomi di tutti i prigionieri uccisi mediante gas, torture, lavoro, denutrizione). Unico documento sugli internati italiani è rimasta la copia della circolare di Hitler numero 172/43, inviata ai gauleiter e agli alti comandi della Wehrmacht il 15 dicembre '43, che illustrava il comporti».mento da tenere con i membri delle Forze armate dell'ex alleato. 11 Fuehrer — dopo una premessa conciliante in cui affermava che «il soldato italiano non deve essere ritenu¬ to responsabile del tradimento, di Badoglio e del re e che sarebbe stato .sbagliato trattarlo con disprezzo* — rivelava le sue vere intenzioni ordinando che *gli italiani che hanno fatto una resistema attiva o passiva alle contromisure tedesche, o che hanno patteggiato col nemico o con le bande partigiane, non debbono essere trasferiti nei campi del territorio nazionale* (cioè, della Grande Germania) concludendo con una frase sinistramente ambigua: *FUr Ihre Behandlung gelten Sonderbestimmungen*, «per loro varran¬ no norme particolari». In altre parole Hitler stabiliva che gli italiani .sospetti» dovevano essere inviati all'Est, nel Governatorato generale di Polonia, dove più fitta e più inestricabile era la rete dei lager (non per nulla vi sorgeva Auschwitz) e dove esisteva un sistema di campi di internamento militare. Quelli in cui vennero rinchiusi i 58.000 soldati e i 22.000 ufficiali italiani destinati da Hitler al •continente Polonia» erano diciotto: Neribka, Pikullce e Przemysl (Leopoli); DeblinIrena e Beniamjnowo (Var¬ savia); Biala Podlavska (Cracovia); Czestokowa (Breslavia); Wollstein, Gitine Lissa e Schokken (Pose n); Lodz, Thorn, Gotenhafen, Graudenz, Leopoli e Tamopol, al confine con l'Ucraina, oltre a Posen e a Varsavia. Degli 80.000 internati italiani quasi 20.000 morirono per denutrizione e malattie; altri 10.000 furono vittime di stragi e sono oggi sepolti in 170 cimiteri di guerra polacchi. Questo sistema di campi durò dall'ottobre '43 all'Inizio del '44 quando fu sconvolto dagli avvenimenti bellici. Il 20 marzo '44, infatti, Stalin annunciò che l'Armata Rossa aveva raggiunto *le frontiere dello Stato sovietico* e, caduta Kiev, i russi penetrarono profondamente nella Polonia meridionale occupando Jitomir, Sarny e minacciando Leopoli. Nella tarda primavera, e più ancora nell'estate, l'offensiva sovietica si allargò a tutto il fronte: in luglio il maresciallo Rokossovskj, attraverso le paludi del Pripet, puntò su Brest-Litovsk impadronendosi di Deblin-Irena il 26 mentre l'indomani Koniev occupò Leopoli. Nel giro di due mesi, «saltata» la rete dei campi, gli internati furono frettolosamente trasferiti all'Ovest, in varie tappe, tanto che nella confusione un paio di migliaia di soldati italiani finirono nel campo di sterminio di Bergen-Belsen dove 295 morirono in circostanze mai chiarite. Sulle stesse tragiche vicende di quei mesi nell'antica fortezza costruita dallo zar Nicola I di Russia alla confluenza della Vistola con il Vipro e donata al governatore della Polonia Ivan Taskensky, ' le testimonianze dei superstiti sono controverse: il professor Nunzio Vicino, oggi insegnante in pensione a Gela e allora sottotenente della divisione «Marche», ha detto che nel gennaio '44 un soldato sovietico gli indicò fossi e tunnel in cui erano stati fucilati o sepolti vivi migliaia di italiani e di russi; l'ortopedico Ercole Negri, di Parma, che fu Internato a Deblin fino al marzo '44, sostiene che vi furono in quel campo almeno 70.000 morti, ma si trattava di sovietici sterminati da una epidemia di tifo petecchiale. E Adalberto Alpini, classe 1915, di Torino, ex tenente della divisione «Cacciatori delle Alpi», attesta che, internato a Deblin-Irena, vi rimase fino al 23 marzo '44 (quando il campo fu chiuso e gli italiani trasferiti a Oberlangen, sul confine olandese) e «non accadde jnai nulla di gravissimo: solo fame, freddo, patimenti; ma nessuna strage*. I delitti di massa che avvennero in Polonia nel '43'45 non saranno mai svelati interamente. Si dice che, a suo tempo, il governo di Varsavia inviò all'Italia un'imponente documentazione raccolta su quei crimini. Se è cosi certamente nessuno si curò di catalogarla e archiviarla, forse per il timore che si tornasse a parlare di quei 615.000 soldati gettati allo sbaraglio l'8 settembre da un esercito di generali e di burocrati imbelli. Cosi, secondo un dato ufficiale del ministero della Difesa, che risale al 1965. i morti italiani di Deblin-Irena sarebbero stati nove. Giuseppe Mayda Né negli archivi della Wehrmacht né in quelli del ministero nazista degli Esteri esistono documenti che consentano di ricostruire le tappe del lungo dramma di oltre 600 mila italiani disarmati e catturati dai tedeschi Sono andati perduti anche i rapporti mensili dai 233 campi d'internamento E' il 15 settembre 1943: in Corsica (nella foto), come del resto in Italia, i reparti del nostro esercito, disarmati dalle truppe tedesche, vengono avviati alla deportazione in Germania (dal libro «Italia drammatica, storia della guerra civile»)