Ergastolo a 10 anni di «mala» di Susanna Marzolla

Ergastolo a 10 anni di «mala» La sentenza sul clan di Epaminonda che terrorizzò Milano Ergastolo a 10 anni di «mala» I 13 killer della banda accumulano cinquanta condanne al carcere a vita - II «Tebano», che con le sue confessioni permise il processo, sconterà 30 anni - Durante il dibattimento una sparatoria in aula, un tentativo di omicidio in cella, clamorose proteste: anche ieri si sono avuti incidenti mentre veniva letto il verdetto MILANO — «L'udienea è tolta»: sono le 13,30 quando il presidente della corte d'assise. Renato Samek Ludovici, finito di leggere la sentenza, dichiara chiuso il processo contro Angelo Epaminonda, detto «il Tebano» e la sua banda. Un processo durato quasi un anno (era iniziato il 23 febbraio del 1987), in cui è successo di tutto: una sparatoria in aula; un imputato quasi ucciso in carcere; il -grande pentito» Epaminonda che prima ritratta tutto e poi conferma le accuse; polemiche e proteste in aula. Anche l'udienze di ieri non ha smentito le precedenti con la moglie di un condannato che si è messa a gridare ■'assassini- ai giudici, il duro intervento dei carabinieri, gli imputati che urlavano dalle gabbie. Per formulare la sentenza 1 giudici sono rimasti in camera di consiglio un mese, chiusi in un edificio nei pressi del carcere di Como, allestito appositamente. Alla fine hanno decretato la condanna di quasi tutti i 118 imputati per complessivi 50 ergastoli e più di 1300 anni di carcere. Angelo Epaminonda è stato condannato a 30 anni di reclusione e 179 milioni di multa. In realtà la pena teorica è stata maggiore: ritenuto responsabile di associazione per delinquere, traffico di droga e 18 omicidi, ha avuto in tutto 316 anni. Ma poiché nessuna condanna per reato specifico ha raggiunto i 24 anni (cifra che, aggiungendosi alle altre, avrebbe fatto scattare automaticamente l'ergastolo), il cumulo complessivo delle pene, per il nostro Codice, è di 30 anni: quelli inflitti appunto a Epaminonda. Soddisfatto? «Per niente — risponde il legale del "Tebano" Michele Pepe —: qui è stata accolta la tesi del pubblico ministero, che noi ave\vamq,cri(icato. La Corte aveva due alternative: credere a Epaminonda o non credergli. Gli ha creduto, è evidente, visto che le condanne di quasi tutti gli imputati si basano sulle sue confessioni. Ma allora questa sentenza non è coerente, non si è tenuto conto del contributo decisivo che Epaminonda ha fornito. A Palermo, con Buscetta (condannato a tre anni e sei mesi per associazione mafiosa, ndr) t giudici sono stati molto più coraggiosi». Epaminonda ieri non si è visto: è rimasto nel suo rifugio segreto dove, con la famiglia, vive protetto dalle possibili vendette del suoi ex complici. Era la protezione che chiedeva e per ottenerla era arrivato a ritrattare tutto e a definirsi un «infame.. Poi, ottenuta una serie di misure a favore del suoi familiari, ha ribadito in aula la confessione. Come per Epaminonda, la Corte ha sostanzialmente accolto anche per gli altri imputati la tesi del pubblico ministero, Francesco Di Maggio. C'è uno scarto di dodici ergastoli (11 pm ne aveva chiesti 62) che si spiega secondo lo stesso Di Maggio «con una maggiore attenzione dei giudici alle posizioni dei singoli imputati». Per 11 pm, quella pronunciata ieri «è una sentenza tutto sommato equa, che ha rispettato l'impostazione dell'accusa». I 50 ergastoli sono stati comminati a 13 imputati. Il numero maggiore (11) è stato inflitto ad Antonino, detto Nuccio, Miano. Responsabile di 17 omicidi: era stato lui, il 5 ottobre dell'anno scorso, a sparare in aula. Svuotò l'intero caricatore di una pistola mentre andava (o tornava) dal bagno, dentro la gabbia dov'erano rinchiusi Antonino Faro e Antonino Marano. Illesi i due imputati, feriti invece due carabinieri di scorta. Di ergastoli ne ha invece avuti dieci Illuminato Asero, uno degli mindiani». Epaminonda chiamava cosi 1 membri della sua banda incaricati di «regolare i conti», cioè decidere quanti potevano ostacolare la lucrosa attività di gestione delle bische clandestine o quella, ancor più lucrosa, del traffico di cocaina. Sono in tutto. 44 gli omicidi che ha giudicato la corte d'assise, compresa quella passata alle cronache come la «strage del Lorenteggio» : tre giovani uccisi perché avevano avuto l'infelice idea di rapinare una delle bische di Epaminonda, e con loro un ignaro benzinaio falciato a colpi di mitra. Un altro «indiano», Angelo Fazio, noto con l'adeguato soprannome di «pazzo», ha avuto sette ergastoli; Salvatore Paladino e Santo Mazze!, 5 a testa. Due ergastoli per Orazio D'Antonio, De¬ metrio Latella, Michele Chirico, Vincenzo Natoli; un ergastolo ciascuno infine per quattro imputati tra cui Salvatore Mirabella, capo di una banda rivale a quella di Epaminonda. Per i «plurlergastolani» la condanna reale si è tradotta nel carcere a vita più tre anni di isolamento. Tra i pochi assolti, per insufficienza di prove, l'ex capo della squadra mobile di Pavia Ettore Filippi: le stesso pm ne aveva chiesto l'assoluzione piena e Filippi, ascoltando i giudici, è visibilmente contrariato: «E' un'esecuzione — dice — non una sentenza». Non era invece in aula l'ex maresciallo di polizia Ennio Gregolin condannato a sette anni di carcera Condanne minori (sei anni) per Antonino Faro e Vincenzo Andraus e assoluzione per Antonino Marano. Anche loro protagonisti del processo (Faro e Marano tentarono di uccidere Andraus a coltellate), già condannati tutti a più ergastoli neppure alzano la testa quando il presidente pronuncia i loro nomi. Ascolta invece attento, quasi con aria di sfida, Nunziatlno Cono Maddalena, un pentito, condannato a 13 anni e sei mesi. La lettura della sentenza prosegue tranquilla fino all'una meno un quarto. Ma la tensione è palpabile ed esplode quando Vincenzo Natoli, appena condannato, esce dall'aula. Grida «vergognatevi» passando davanti alla Corte. Sua moglie Mirella, nella parte riservata al pubblico, grida allora ancora più forte: «Avete ucciso questi uomini, queste donne; i nostri bambini avete ucciso». Intervengono con forza i carabinieri. Dalle gabbie la protesta: «Giù le mani dalle nostre donne». La Corte si allontana; viene portata via da un parente anche la moglie di Natoli: fuori dall'aula ci sarà anche la lite con un fotografo che aveva ripreso la sua invettiva alla Corte. Dopo un quarto d'ora rientrano i giudici, c'è di nuovo la calma. Ci vorranno In tutto due ore al presidente per finire la lettura di una sentenza che ha messo la parola fine a dieci anni di malavita a Milano. Susanna Marzolla

Luoghi citati: Como, Milano, Palermo, Pavia