Dentro l'Urss nell'ora dei camaleonti di Paolo Mieli

Dentro l'Urss, nell'ora dei camaleonti LA RIVOLUZIONE CULTURALE DI G0RBACI0V: UN LIBRO DI EMANUELE N0VAZI0 Dentro l'Urss, nell'ora dei camaleonti Assai più di quella dì Mao del 1966, quella attuale di Gorbaciov è stata ed è un'autentica rivoluzione culturale. Nel senso che il leader sovietico per annunciare e promuovere le sue riforme ha puntato prima di tutto su un radicale cambiamento — talvolta uno stravolgimento — nel campo di segni e simboli. A cominciare dalle due parole chiave, glasnost e perestrojka, su cui ha battuto e ribatlùtto fino a scolpirle ben ru\ .'nella memoria del suo Paese e di tutto il resto del mondo. Per continuare con le battaglie cariche di valenza simbolici contro la vodka e per restituire «senso» al pane. Per chiudere con l'enfasi che ha dato alla riscoperta della produzione artistica censurata fino agli anni più recenti, alla studiatissima rivalutazione dell'«amico americano» e alla riabilitazione altrettanto mirata del passato scomodo. E' a questa rivoluzione culturale che Emanuele Novazio ha dedicato il libro La Russia di Gorbaciov appena pubblicato da Bompiani. Libro che non consiste in una raccolta dei numerosi articoli sull'Urss scritti da Novazio nella sua veste di corrispondente di La Stampa da Mosca; ma che è invece il risultato di uno studio da semiologo della complessa composizione del disegno gorbacioviano. Uno stu¬ dio basato sull'c -servazione di episodi (nettamente privileL-rati quelli, apparentemente senza significato, della vita d'ogni giorno) e su una ricchissima serie di interviste. Ne vien fuori, oltre a una meticolosa descrizione del disegno di riforma, l'immagine di un Paese il cui gruppo dirigente si sta «adattando» al gorbaciovismo apprezzandone, certo, le caratteristiche liberali ma con una, forse inconsapevole, riserva sul senso complessivo dell'operazione. Gran parte degli intervistati, anche quelli in prima linea nell'offensiva per la trasformazione, tradiscono la loro non volontà di trasformare l'adattamento di cui sopra in un forte impegno individuale. Sarà forse per il ricordo di come andò a finire l'avventura kruscioviana, sarà per realismo, sarà anche perché nessuno vuol correre rischi personali: certo è che gli intervistati appaiono convinti gorbac io vi ani (tutti) allo stesso modo in cui i loro predecessori erano (tutti) convinti brezneviani. Talvolta ci troviamo ad dirittura in presenza d'una stessa persona. E' il caso del direttore della Pravda Viktor Grigorievich Afanasiev, un ex brezneviano di granito, che si dice ora convinto sostenitore del nuovo corso e alla domanda su che cosa scegliereb¬ be tra partito e verità risponde senza esitazione: «Per me sono sinonimi. Tutta la mia vita è legata al panilo, non riesco a immaginarmi al di fuori». L'Urss che si intuisce dalle interviste di Novazio pullula di camaleonti. Osserva lo scrittore Anatoly Pristavkin, uno dei pochissimi che denuncia il fenomeno con tanto di nomi e cognomi: la società sovietica non e abituata alla democrazia e perciò s'è formato un tipo d'uomo che fun- ziona come un robot; e cita l'esempio Feliz Kuznetsov, segretario dell'Unione scrittori, che ai tempi di Krusciov era un critico progressista, con Breznev ha cambiato radicalmente e ha profuso impegno nel «bestemmiare li nome della Akhmatova» e adesso «in un giorno, anzi in un secondo» (sono parole di Pristavkin), si è riproposto come progressista. Quando Novazio definisce tutto ciò come ecoraggio imposto dall'alto», Pristavkin gli dà ragione: «Il nuovo conformista ha anche lui bisogno della dacia, dell'auto, dell'incarico che gli rende bene. E oggi per questo sene il coraggio. Sono certo che se le cose camberanno — e Dio ce ne scampi — il loro conformismo si adeguerà e saranno tutti in prima fda tra i reazionari». Tutti neoconformisti, allora? No, ma anche coloro che sono più sinceramente impegnati nell'offensiva gorbacioviana, forse per paura della «fuga in avanti», cioè di contribuire involontariamente a una destabilizzazione del leader nel suo quotidiano confronto coi nemici della svolta, si mostrano iperragionevoli e attendisti. Si veda in proposito l'atteggiamento sul caso Bucharin di due storici, Roy Medvedev che s: segnala sempre e comunque come apologeta del nuovo leader sovietico, e il ben più coraggioso Ju- ri Nicholaevich Afanasiev. Ambedue spiegano che la riabilitazione di Bucharin è giusta perché le sue idee di cinquantanni fa son molto simili a quei... che oggi ha Gorbaciov; e con tutta naturalezza respingono anche la sola ipotesi di pubblicazione delle opere di Trotzki iperché contengono aperta propaganda antisovietica» (Afanasiev). In altre parole a dettare la revisione storica non e il principio di verità per cui va resa giustizia a tutti quei comunisti fatti uccidere sulla base di accuse inventate, ma il principio di utilità per cui vanno riabilitati quei dirigenti che possono esser presentati come precursori dell'era di Gorbaciov. A questo punto è chiaro che l'elemento di forza del gorbaciovismo, l'essere quella rivoluzione culturale guidata dall'alto a cui Novazio dedica le attenzioni di cui s'è detto, può divenire un elemento di debolezza perché la quasi totalità di intellettuali e dirigenti politici «applicano» la riforma senza diventarne motori in proprio. Dalle parole di chi è impegnato in questo processo si intravede che la perestrojka non solo (come è già stato osservato) non ha ancora fatto breccia nel popolo sovietico, ma stenta pure a produrre una spinta vitale anche tra i quadri intermedi. Paolo Mieli

Luoghi citati: Mosca, Russia, Urss