Omicidio del tipografo, assolti i Nar
Omicidio del tipografo, assolti Nar La vittima lavorava al «Messaggero», fu ucciso per sbaglio al posto di un giornalista Omicidio del tipografo, assolti Nar Insufficienza di prove per i sei neofascisti imputati - Il pubblico ministero aveva chiesto tre ergastoli - Il cronista nel mirino dei terroristi si occupava di eversione nera DALLA REDAZIONE ROMANA ROMA — Otto anni dopo l'uccisione del tipografo;Tornano Maurizio Di Leo, assassinato a tradimento dai Nar che lo scambiarono per un redattore del quotidiano Il Messaggero, la giustizia cancella indagini e rivelazioni sui «pentiti» e dichiara estranei, seppur con la formula dei dubbi, tutti gli estremisti di destra coinvolti in quel delitto. Con una sentenza, la terza corte d'assise di Roma ha assolto per insufficienza di prove i sei «neri» chiamati a rispondere dell'organizzazione o dell'esecuzione di quell'attentato che i terroristi stessi, a distanza di poche ore. definirono «un errore tattico». Dalla lunghissima inchiesta e dal difficile processo escono indenni, soprattutto, i tre neofascisti che la magistratura romana, recependo in pieno le chiamate in correità fatte dai ..pentiti», aveva indicato quali autori materiali dell'omicidio del giovane operaio. Per Luigi Aronica. Giuseppe Dimitri e Dario Pedretti. infatti, il pubblico ministero d'udienza, Antonio Di Leo. aveva proposto senza esitare la condanna al carcere a vita, Il magistrato della pubblica accusa aveva sollecitato anche 21 anni di reclusione per Donatella De Francisci, 8 anni e mezzo per il principale collaboratore dei giudici nell'istruttoria. Cristiano Fioravanti, fratello del più celebre «Giusva», e l'assoluzione per insufficienza di prove per un unico imputato Marco Di Vittorio. Maurizio Di Leo, 25 anni, viveva con la madre, anziana e malata, in una palazzina di Monteverde e da un paio di anni aveva trovato lavoro presso la tipografia del più diffuso quotidiano romano. La sera del 2 settembre del 1980 usci dalla sede di via del Tritone e, come faceva sempre, si diresse alla fermata dell'autobus che lo conduceva verso casa. Non sospettava mimimamente che, solo qualche minuto prima, da una cabina telefonica non molto distante, uno dei Nar aveva telefonato al centralino del quotidiano avvertendo che c'era da ritirare un volantino dell'organizzazione lasciato in un cestino dei rifiuti, proprio nella zona di Monteverde. I terroristi erano certi che, come avvenuto già. in molte altre occasioni, il giornale avrebbe incaricato di occuparsi del caso un redattore particolarmente esperto delle questioni dell'eversione «nera» e che si dedicava da tempo alle inchieste sull'attività dei gruppi neofascisti. Per la corporatura e l'aspetto fisico Maurizio Di Leo somigliava vagamente al giornalista del quotidiano. Fu forse questa circostanza ad indurre in errore i killers, che non ebbero dubbi e seguirono immediatamente e fino al lontano quartiere Monteverde quella che credevano essere la vittima designata. Proprio nei pressi del portone di casa, i due giovani che in «vespa» avevano controllato ogni movimento dell'ignaro tipografo, spararono al Di Leo, fulmi- nadolo con sette colpi di pistola. Per molto tempo, dopo il delitto, le indagini della Digos e dei carabinieri non approdarono a qualcosa di certo, benché fin dalle ore immediatamente successive fosse emersa chiaramente la matrice dell'attentato. I Nar avevano diffuso prima un comunicato con farneticanti dichiarazioni di vittoria. Ma, subito dopo, resisi conto dì aver realmente sbagliato obiettivo, si rifugiarono in una laconica dichiarazione, riconoscendo l'«errore tattico» del gruppo di fuoco incaricato dell'azione. Solo in seguito all'arresto di Cristiano Fioravanti e, successivamente, alla decisione di Angelo Izzo, uno dei «massacratori» del Circeo, di collaborare con gli inquirenti, fu imboccata con decisione la pista del terrorismo «nero» e furono decisi gli arresti.degli imputati. I difensori di quest'ultimi, gli avvocati Giosuè Naso, Adriano Cerquetti e Giuseppe Valentino perù, dopo otto anni di battaglie, sono riusciti a convincere i giudici che Cristiano Fioravanti si era autoaccusato falsamente di quel delitto solo perché .voleva vantarsi di avere, anche lui come il fratello, diretto azioni di sangue». Maurizio Di Leo
Luoghi citati: Monteverde, Roma
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