I «fanti perduti» del '900 letterario di Geno Pampaloni
I «fanti perduti» del '900 letterario Polemiche: Pampaloni difende le sue scelte. Il dibattito tra Ferretti e Bàrberi Squarotti I «fanti perduti» del '900 letterario CARO Direttore, ti ringrazio del rilievo che hai voluto dare al consensi e ai dissensi espressi da illustri amici a proposito del contributo di Raboni e mio per la nuova edizione del Novecento Garzanti; e ringrazio anche Orengo per aver riassunto con fedeltà (rara in occasioni del genere) la nostra conversazione telefonica. Per quanto mi riguarda, vorrei aggiungere due postille. 1. I giovani. Se la Garzanti mi avesse dato nel '45 l'incarico che mi ha dato nell'86, sarebbe stato Impossibile non parlare dei giovani di allora, che nel decennio precedente avevano fondato una nuova letteratura. Ma oggi (posso sbagliare) guardandomi un po' indietro non mi sembra che ci sia qualcuno che abbia già scritto Dialoghi dei massimi sistemi, o Conservatorio di Santa Teresa, o Lettere di una novizia, o II deserto dei Tartari, o Conversazione in Sicilia, o Adalgisa, o Tre operai, o Don Giovanni in Sicilia, o Paesi tuoi, o Cristo si è fermato a Eboli, o Fontamara, o II quartiere, o omerico, primo amore; per non parlare del già allora remoto Gli indifferenti, 11 protoromanzo della nuova letteratura. 2. Le novità. Diversa è la situazione tra i critici. Aver dato un po' di spazio al critici-scrittori è dunque novità facile quasi necessitata e fisiologica. Quella che considero invece vera novità (anche se è proprio questa che mi viene addebitata) è il tentativo di riequilibrare la tavola dei valori nella nostra narrativa, che a mio giudizio è stata condizionata e alterata dal dominante ideologismo. Vengo a qualche esempio. Ho grande stima per Romano Luperini e considero il suo Novecento un'opera solida, coerente, importante e per molti aspetti preziosa. Ma Luperini (1981), trascura, oltre i moltissimi che poi dirò, la Ortese, D'Arzo, Ridolfi, Ceronetti, Brignetti, Arpino, Pomilio, modelli ed esperienze credo indispensabili, a vario titolo, al panorama italiano contemporaneo. Pescando poi alla rinfusa tra i suol dimenticati trovo un bel numero di scrittori che, pur comparendo nell'uno o nell'altro dei manuali e repertori (e ce ne sono di affidabili, da Spagnoletti a Manacorda al dizionario Utet) non godono di quel giudizio consolidato che, di mediocrità oppure di eccellenza, essi meritano: per esempio Cremona, Chiara, Coccioli, Cavani, Pasinetti, Tucci, Barollni, Allanello, Patti, Sanminiatelli, Emanuelli, Terra, Vigevani, Strati, Campanile, Zavattinl, Marotta. Giulio Cattaneo, Laurenzi, Cassieri, Compagnone, Cerami, Troisi, Mattloni, Renzo Rosso, Altomonte, Samonà, Maria Bellonci e tutti quelli riuniti nel capitolo -Presenza cattolica». Sono, tutti costoro, «fanti perduti della letteratura»», come diceva 11 Manzoni, o «spazzatura», come scrive con minore eleganza Paolo Mauri nella sua bella stroncatura su «Repubblica»? Personalmente sono contento di aver contribuito, nel mio piccolo, a tenerli per qualche anno all'onor del mondo: sono scrittori di cui è giusto che si sappia, almeno sino a che siamo vivi noi testimoni, che gli dobbiamo qualche cosa. Naturalmente ho anch'io le mie colpe e i miei rimorsi. Per farti un solo esempio, nelle mie purtroppo lunghe ore di insonnia, vedo spesso affacciarsi, burbera e amichevole, l'ombra di Augusto Frassineti, che mi chiede conto in silenzio del mio silenzio. Geno Pampaloni
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