Violenza in tv: la blocchiamo?

Violenza in tv: la blocchiamo? Il presidente della Camera Nilde lotti ripropone il problèma Violenza in tv: la blocchiamo? Rispondono sei esperti: Antonio Miotto, decano della psicanalisi; Valerio Pocar (sociologia del diritto); Jacopo Pensa, penalista; Giovanni Tranchida, editore; Rita Bilucaglia, insegnante di liceo; Mariapia Bobbioni, psicanalista - I pareri sono discordi - La Rai assicura: «La questione è già allo studio» MILANO — 8uscita pareri molto contrastanti, l'ipotesi di regolamentare, in tv, l'uso delle Immagini violente In filmati di fantasia e in servizi giornalistici. Il presidente della Camera, Nilde lotti ha riproposto il problema, e il presidente della Commissione di vigilanza Rai, Andrea Borri, ha assicurato che la questione era già oggetto di studio. Ma le scene di violenza hanno davvero influenza su chi le guarda? E' auspicabile una normativa che le limiti? Lo abbiamo domandato a Antonio Miotto, decano della psicanalisi, docente di psicologia generale alla «Statale. : a Valerlo Pocar, professore di sociologia del diritto alla facoltà di Scienze Politiche, sempre nell'Ateneo milanese; a Jacopo Pensa, avvocato penalista; a Giovanni Tranchida, editore che pubblica saggi e inchieste In materia di attualità; a Rita Bilucaglia, insegnante di lettere in un liceo; a Mariapia Bobbioni, psicanalista. Antonio Miotto: -Rispetto al dilagare della violenza in generale, tutti ci sentiamo inconsciamente colpevoli, perché praticamente impotenti. Cosi ci inventiamo la volontà di cancellare questa iattura, negandola. Protestare ci discolpa, è il nostro alibi. Per i mass-media, direi che il ritmo con cui vengono presentate le scene di violenza — rapide e inframmezzate ad altre del genere vincite alla lotteria — finisce con il neutralizzarle emotivamente. L'ideale sarebbe far seguire alle notizie catastrofiche un commento sul piano edu- cativo. Ma chi lo dovrà fare? A che titolo? Chiameremo un generale a commentare la guerra? La famiglia, la scuola, sarebbero determinanti, ma qui il discorso si fa lungo. In quante famiglie e scuole si parla dello stupro o dell'Afghanistan?'. Valerio Pocar: «Le comunicazioni di massa hanno capacità di suggestione, sollecitano limitazione, propongono modelli più ancora che notizie. E rendono figure e situazioni al contempo reali e irreali. Finisce che percepiamo tutto come possibile. Tra il telegiornale e una telenovela, il modo di porgere il messaggio è identico. La nostra è una società molto differenziata sul piano dei valori, (il che è un bene), e di conseguenza pullulante di contrasti, conflitti. Su un tale terreno di coltura, certe scene possono indurre ad ulteriori manifestazioni di violenza. Studiare il modo per contenere simili immagini mi pare auspicabile: Jacopo Pensa: -Tali immagini hanno influenza nefasta soprattutto sullo spettatore culturalmente sprov- veduto, che recepisce più facilmente limmagine. Anche nella pratica criminale, giudiziaria, accade spesso di constatare, specialmente in soggetti molto giovani, la presenza di un modello. Può scattare il meccanismo di emulazione di certe imprese che vengono prospettate come facili e di rendimento immediato. Elaborare una normativa in questo senso è comunque impresa ardua, anche perette non ci sono gradazioni codificabili di violenza. Ci seno immagini che possono essere violentissime di per sé, ma che eccitano minor aggressività di altre. Ancora, una scena violenta può suscitare nella morale di chi le recepisce una reazione positiva. Altre se¬ quenze, magari non violente, possono risultare deleterie, poiché trasmettono messaggi negativi^. Giovanni Tranchida: 'Come si deciderà cos'è violento e che cosa non lo è? Il film di avventure? Oppure il documentario sulle torture? Oppure certi cartoni animati giapponesi? Chi controllerà, in base a quali principi?. Il pericolo è, di nuovo, di trovarci di fronte a una scelta a monte, a un prodotto precostituto in base a personali concezioni del bene e del male. Ritengo l'essere umano abbastanza maturo per decidere da sé. Se un servizio, o un filmato, vengono proposti secondo un determinato criterio — qualsiasi esso sia — si toglie all'individuo la possibilità di un libero giudizio. Non solo, ma tra le intenzioni (lodevoli) e la realizzazione, c'è come sempre un abisso. Le limitazioni sarebbero inevitabilmente strumentalizzate dal potere politico'. Rita Bilucaglia: 'Noto, in tanti ragazzi, una grossa contraddizione. Sono contro la guerra, ma nell'affermarlo dimostrano tale intransigenza, aggressività, violenza contro chi non pensa come loro. Il problema non è linfluenza delle scene violente: il problema è che manca il senso critico. Detto questo, ci sono servizi, al telegiornale, impostati in modo distruttivo. Va benissimo che la tv "dica la verità", ma bisognerebbe dosarla. Tra l'altro, non credo nemmeno che "la verità" sia un bene in assoluto. Per esempio, lo stupro si potrebbe trattare in altro modo. Le ragazze sono terrorizzate, questo può influire anche nei rapporti di coppia. Concordo, perciò, con l'opportunità di limiti.. Mariapia Bobbioni: 'Scene simili sono soltanto una parte, e neppure fra le più rilevanti, di una violenza generalizzata, molto più sottile e infida. La discriminante è tra l casi in cui tali sequenze servono per far arrivare un certo messaggio, oppure sono gratuitamente morbose. Films come "La battaglia di Algeri" sono sicuramente violenti: ma ben vengano, perché dicono la verità. Una regolamentazione è estremamente delicata; entrano in gioco interessi di partito, opinioni personali. E' vero che certe scene possono impressionare spettatori sprovveduti, ma il rimedio non sta nel non mostrargliele. Sta nell'agire in modo che siano meno sprovveduti. Diminuirebbe anche la folla di persone che vogliono comprare il "Cacao meravigliao". Più che togliere le scene di violenza, sarebbe il caso di operare perché il pubblico capisca il senso di quel che vede. E sia, anche, un po' meno indifferente. Mi piacerebbe che i teleschermi cominciassero ad occuparsi del fatto che la stragrande maggioranza delle persone, quando vede un essere umano, o un animale, sgozzato a pochi metri di distanza, non interviene. Neppure chiamando il 113. Scappa. E' questo, agghiacciante, non i films dell'orrore'. Ornella Rota U Una scena dal film «Rambo 2» con Stallone: la violenza imperversa anche al cinema

Luoghi citati: Afghanistan, Algeri, Milano