Arafat di Igor Man
Arafat "nazione palestinese"). Arafat dichiarava al Washington Post d'esser pronto a negoziare con Israele '•sulla base delle frontiere del 1967». Mai il presidente dcll'Olp s'era spinto tanto lontano. Si vuole che Arafat abbia "sondato" il campo di Agramante prima di così pronunciarsi ed appare significativo, secondo diversi osservatori, che in una intervista alla tv Shimon Percs. dopo aver ancora una volta sottolineato l'importanza di una Conferenza internazionale, abbia sfidato il primo ministro Shamir dicendo: «Egli respinge ogni negoziato internazionale, esige un dialogo diretto. Ebbene, trattare direttamente è tull'altro che impossibile. Ma ciò vuol dire negoziare soltanto con l'Olp». C'è di più: l'8 di gennaio Arafat annuncia la riunione, per il giovedì 14, del Comitato esecutivo dcll'Olp con all'ordine del giorno la «creazione d'un governo provvisorio in esilio-i. Contrariamente a quanto qualcuno ha scritto, c'è stata unanimità su questo governo. Sono, infatti, cadute le preclusioni dei cosiddetti movimentisti, schiavi del mito della guerra guerreggiata: «Contiamo politicamente perché spariamo e sparando esistiamo». Epperò s'è convenuto di evitare un «colpo di teatro» fine a se stesso, la cui retorica farebbe naufragare nel ridicolo l'Olp. Insomma, se contrasti ci sono, riguardano il timing, cioè la scelta del < momento» affinché sia «prò pizio». Ciiusto il diritto internazionale, i governi in esilio possono acquisire rilevanza giuridica a due condizioni: 1) che gli altri Stati li riconoscano: in tal coso il riconoscimento acquista valore costitutivo: 2) che lo Stato ospitante ne definisca la condizione giuridica; come, ad esempio, fece la Gran Bretagna durante la seconda guerra mondiale coi governi" di Polonia, Norfegia. Olanda, Lussemburgo. Jugoslavia e Grecia. Ora per l'Olp è innanzitutto necessario avere il placet di quei "fratelli arabi" che nel 1974 a Rabat riconobbero l'Olp unico e solo rappresentante legittimo del popolo palestinese. Sulla carta nulla di più facile, nella realtà una impresa invero ardua. Poiché, sempre secondo il diritto internazionale, ai governi provvisori in esilio spetta la protezione diplomatica dei propri sudditi anche nei confronti degli Stati dai quali siano riconosciuti, non è da pensare che la Giordania, dove il 60 per cento della popolazione è palesano se. possa accettare a cuor leggero un governo dell'Olp, non fosse altro per non correre il rischio di «sparire giuridica mente». E la Siria, il cui està blishment non è certo in ecce! lenti rapporti con Arafat vorrà rinunciare al suo più volte affermato droit de regard sul problema palestinese? Da qui tutto un intenso lavoro diplomatico volto a provocare l'intervento dell'Urss presso Siria e Giordania (in dicembre re Hussein ha compiuto a Mosca una visita da lui definita «storica») e ad ottenere garanzie in primo luogo dalla Cec (il 29 gennaio Faruk Kaddumi, «ministro degli Esteri dcll'Olp» dovrebbe concludere a Roma un suo giro nelle capitali europee). Arafat non sembra farsi troppe illusioni pur dichiarandosi «non eccessivamente pessimista). Dice: «Il Corano ammonisce: "Rimanete uniti e sarete forti". Se riusciremo a non farci più dividere, la storia finirà col renderci giustizia. E, poi, se è già difficile costringere in un ungalo un gatto, figurarsi una tigre». Evidentemente la tigre sta per i palestinesi dell'interno, giovani e vecchi, che Arafat, al Walid (il padre, come lo chiamano nei territori) ebbe già a definire «una bomba a tempo» ma che oggi sollecita «a provocare senza però cadere nella trappola delle provocazioni». Va detto ancora come il punto d'arrivo non rimanga il governo in esilio: la meta da attingere «il più presto possibile» è la Conferenza internazionale di pace nel cui seno Arafat confida di trattare da pari a pari. (La Conferenza dovrebbe fare da «ariete» al governo provvisorio). I moti di Gaza e Cisgiordania in un Paese problematicamente magmatico qual è Israele han fatto affiorare sulla palude della certezza chiamata Eretz Israel, il Grande Israele che la maggioranza dei suoi cittadini credeva realizzato, dubbi e interrogativi drammatici. E tuttavia è lecito domandarsi se Israele sia maturo per un negoziato con l'Olp. Personaggi come Weizmann ed Eban ritengono o, almeno, sperano di si ma 'o stesso Arafat dice che «siamo ancora agli antipasti». Igor Man Arafat
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