Più che Manon potè la passione

Più che Manon potè la passione Genova, l'edizione integrale di Massenet ha aperto la stagione dell'Opera Più che Manon potè la passione DAL NOSTRO INVIATO GENOVA — Un'edizione integrale della Manon di Massenet ha inaugurato con solennità la stagione lirica del Teatro Comunale dell'Opera di Oenova. Versione integrale, e in lingua originale, vuol dire ricordarsi prima di tutto che Manon non è soltanto quella lieve operina elegante e sentimentale che noi siamo abituati a sentire nella disinvolta versione ritmica di Angelo Zanardinl, ma un opéra-comique in piena regola, anzi, in pompa magna, cioè un opéra-comique post-Carmen, quando questo cadetto del teatro musicale sta gonfiando i muscoli per sostituirsi interamente al genere serio delYopéra-lyrique. Certamente comporta ancora inserzioni, ma sobrie e limitate, di recitazione parlata, ultime e fragili resistenze del genere opéra-comique, prima d'investirsi totalmente della piena d'gnltà operistica. E ciò vuol dire, oltre alla qualificazione tragica del soggetto, l'acquisizione di tutti i contorni cerimoniali e solenni che fanno grande l'opera seria: ricchezza dell'orchestrazione, varietà e abbondanza di scena, coreografia, gran numero di personaggi e pertanto considerevole sviluppo nel tempo. Per esempio il tributo da pagare alla danza è la ragion d'essere d'una scena che nella versione italiana dell'opera non esiste: quella del cosiddetto Cours-la-Reine. una festa popolare in strada con un ampio balletto (clie non reca musiche straordinarie). Dal punto di vista della narrazione ha un certo senso perché è 11 che Manon viene a sapere, attraverso ciarle mondane, la conversione del suo bel cavaliere in abate di San Sulpizio, dopo che le era stato strappato dalla polizia per denuncia del ricco e geloso Brétlgny. Nella versione italiana vediamo Manon piombare in sacrestia a San Sulpizio, senza poterci spiegare come avesse potuto apprendere che Des Grieux si trovava 11, dato che non è propriamente una beghina e una devota osservante. L'opera risulta cosi composta di quattro atti e sei scene, per una durata di tre ore effettive e relativi intervalli, e non si può negare che il secondo dei due quadri in cui si sdoppiano gli atti centrali (l'altro è quello della sala da gioco, ricalcato manifestamente sul second'atto, secondo quadro, della Traviato) non reca contributi musicali di grande valore e offusca, per smania di metterci un po' di tutto, la linearità della patetica •histoire de Manon». L'ambizione di dare l'opera In lingua originale ha reso l'esecuzione un po' macchinosa, quando si pensi che, salvo errore, neanche un francese figura tra i sedi' ci cantanti, di svariate nazionalità; per non parlare del coro, che ha parte cospi cua per un'opera di caratte re intimistico. Nel primo atto, dove coro e comprimari hanno la parte del leone, non si può negare che si avvertisse qualche disagio nelle fitte trame degli insieme, ma l'esecuzione si è avviata su binari più sicuri man mano che emergeva la vicenda appassionata dal coup de foudre di Manon e Des Grieux. Impersonati da Fiamma Izzo D'Amico e dall'americano Neil Rosenhein, cui non fa difetto, specialmente al nostro soprano, uno dei requisiti fisici e anagrafici richiesti ai due protagonisti: la giovinezza. Tenerezza e passione sono i due pedali su cui la musica di Massenet gioca la realizzazione del dramma. La Izzo D'Amico e U Rosenhein privilegiano senz'altro il secondo. La Izzo D'Amico mette un altro punto a suo favore nella costituzione di quel repertorio lirico che ha inaugurato con Bohème e proseguito con Traviata e Don Carlos, entrambe le opere con la sponsorizzazione artistica di Karajan, che tra poco la lancerà nientemeno che in Tosca. Ruoli forti, drammatici, dove la passione pesa di più che la tenerezza. Medesima tendenza nel quarantenne tenore americano Neil Rosenhein, che l'altra sera si trovava 11 quasi per caso, sul palcoscenico del Margherita. Scritturato per le ultime recite, uno di quei casi bizzarri che rendono divertente la vita del teatro l'ha portato a rimpiazzare nella prima, inaugurando la stagione, 11 tenore Pietro Ballo, impegnato altrove. Se n'è cavato con onore, anche lui facendo leva sulla forza della passione, più che sull'incanto della tenerezza. Leggiamo che il Metropolitan l'ha scritturato per Werther e per il Trovatore. Santo cielo! siamo d'accordo che le specializza¬ zioni non sono categoriche e che una buona voce servita da un po' d'intelligenza può riuscir bene ovunque. Però è un po' difficile immaginarsi Tito Sciupa a cantare 'Dì quella pira, o Lauro Volpi a filare le dolcezze del .Sojno. di Des Grieux. Cosi è successo che sono riuscite un po' appannate le dolcezze dell'idillio paraconiugale nel second'atto (anche qui una situazione della Traviata, second'atto) e i due giovani cantanti hanno dato la miglior misura di sé (e raccolto 1 più intensi applausi a scena aperta) nelle scene di più rovente intensità drammatica e passionale. Buon terzo, nella parte di Lescaut, il barìtono John Patrick Raftery, americano e giovane pure lui. Fra gli altri numerosi personaggi minori è doveroso ricordare l'austriaco Kurt Rydl, una magnifica voce di basso un po' sprecata nella parte ultrasecondarta del padre di Des Grieux, cioè il Germont della situazione. Direzione intensa di Da niel Oren, la cui presenza sembra avere alquanto raddrizzato le gambe dell'orchestra genovese. (E anche il coro, istruito da Marco Faelli, pare migliorato). La regia di Alberto Fassini muove bene le scene d'insieme, ma non riesce ad ottenere dai personaggi un credibile stile di recitazione. Scene tradizionali di Pasquale Grossi, con qualche maggiore origl nalltà d'invenzione nella sesta ed ultima. Coreografia di Flavio Bennati. Grande pubblico, applausi festosi Massimo Mila La Izzo D'Amico e Rosenhein in una scena di «Manon»

Luoghi citati: Genova, San Sulpizio