Teledipendenza dagli Usa: l'Italia peggio della Francia di Ugo Buzzolan

Teledipendenza dagli Usa: l'Italia peggio della Francia Rai e network subiscono sempre più la negativa influenza del mercato televisivo americano Teledipendenza dagli Usa: l'Italia peggio della Francia Le Monde nel consueto supplemento settimanale tv ha dedicato lunedi scorso le pagine centrali — con un'acuta analisi di Catherine Humtìot — ad un bilancio dell'87 in Francia, un bilancio intrigante e polemico perché tiene particolarmente conto di un panorama trasformato per la presenza massiccia delle private (TF1, ia Cinq. la Six. e in aggiunta Canal Plus, rete specializzata in cinema). Non voglio fare un compendio dell'articolo. MI limiterò ad accennare — per evidenti somiglianze con la situazione italiana — ad alcuni dei -fenomeni» esaminati: l'aumento dei contenitori di varietà, l'aumento vertiginoso dei giochi a premio che dalle reti private sono dilagati su quelle pubbliche, la scomparsa di certe rubriche di punta, il mitragliamento pubblicitario nei film, e il dominio schiacciante dei maxi e minlserial americani (di regola o polizieschi o saghe di ricche e perfide famiglie). A tal proposito nell'ampio articolo è inserita una vistosa tabella che scrupolosamente elenca i titoli del serial trasmessi dalle emittenti francesi nella settimana fra il 22 e il 29 novembre '87. e ne specifica il paese d'origine: sono sessantotto le produzioni importate dagli Stati Uniti contro venti francesi e una dozzina tra inglesi e tedesche. d'Italia neanche l'ombra (curiosamente un unico esempio di telenovela brasiliana, genere che pare non sia gradito ai francesi). Nel settore telefilm c'è dunque la solita dipendenza dell'Europa dall'America: come si vede, in Francia è pesante; ma da noi non lo è meno se si pensa, oltre alla Rai e soprattutto ai network, alla miriade delle private dove tra l'altro, a differenza della Francia, la telenovela brasiliana e messicana è spesso un pilastro dei traballanti palinsesti e riempie ad ogni ora i vuoti tra la vendita di pen- tolame, rassegne di auto usate e aste di bigiotteria e di quadri-croste. Il problema è comunque il telefilm nazionale o per lo meno di coproduzione europea, t sarà l'argomento cardine e la discussione prevedibilmente scottante tra qualche mese al Teleconfronto di Chianciano. quest'anno incentrato sui fasti e nefasti dell'Europa tv. E' un problema che presenta spinosissime difficoltà, a partire dalle questioni finanziarie per cui allo stato attuale delle cose è più comodo comprare in America che produrre in proprio. E poi c'è l'aspetto — sicuramente non trascurabile... — della qualità, della capacità di .confezione», dell'impatto sul pubblico. In Italia non si riesce ad andare più in là del prodotto volonteroso. Guardiamo questa settimana. C'è stato su Raiuno il debutto della serie Sei delitti per Padre Brown, da Chesterton. con un cast internazionale e quindi supponibili concrete possibilità di esportazione. Ma è stato un debutto mollo in sordina, in bilico tra il teleromanzo di trentanni fa e un cinema minore non proponibile su grande schermo: fiacche sceneggiatura e regia, scarso mordente, scarsa suspense, recitazione qualunque, protagonista compreso, l'inglese Emrys James che sarà anche una celebrità di teatro al suo paese, ma che qui fa un prete investigatore senza personalità e senza sugo. E non parliamo, ancora su Raiuno. di Versilia, confinato prudentemente al pomeriggio, operazione sconcertante d'argomento «giovaniche pare rincorrere, e non bene, analoghi pastrocchi seriali dei network berlusconiani. E' un grosso problema tutto e sempre aperto: come la Francia, e lorse peggio della Francia, dovremo continuare a vivere di gigantesche importazioni senza clic le nostre tv, in accordo con il nostro cinema, riescano a reagire nel modo giusto? Ugo Buzzolan

Persone citate: Catherine Humtìot, Emrys James, Padre Brown