La rosa appassita di nonno Debray di Barbara Spinelli

La rosa appassita di nonno Debray ESCE A PARIGI «MASCHERE », LAUTOBIOGRAFIA DELL'EX COMPAGNO DEL CHE La rosa appassita di nonno Debray DAL NOSTRO INVIATO PARIGI — Ci fu un tempo in cui leggere Régis Debray era un obbligo, assolto magari svogliatamente ma con timoroso senso del dovere dagli studenti del '68 e da parecchi loro obbedienti genitori. Debray aveva avuto l'ardore e l'onore di affiancare Ernesto Guevara detto il Che in una disperata guerrìglia boliviana, di accostare un leggendario Fidel Castro, di essere incarcerato addirittura, nelle prigioni di La Paz. Lui si che aveva gustato l'esotico frutto delle rivoluzioni terzomondiste (una cosa è sussurrare «sono stato nelle prigioni di La Paz», ben altra ammettere «sono stato a Regina Coeli»), Régis non era rimasto inchiodato sui banchi di scuola, per poi figurare assai presto — appena qualche anno dopo — nella violacea, postribolare, borgatara Prova d'orchestra di Federico Fellini. Lui aveva preso il largo su un lussuoso Titanic, aveva conosciuto le grandi vittime dell'imperialismo, conosceva profumo autentico di fucile. E prometteva una rivoluzione con pennacchio: una Rivoluzione nella rivoluzione, come si intitolava il suo libercolo. La sua ròsa era destinata ad asciugarsi e aggiungersi a quei mazzetti di fiori secchi che oggi sono ricercatissimi, e quanto meno odorano tanto più alimentano di prezzo: non sarebbe appassita come certe rose nostrane. E poi quante storie avrebbe potuto raccontare Régis, quando fosse divenuto nonno! Nel nostro universo di nipotini casalinghi, una perla simile è rara, e il mestiere del nonno che ha viaggiato molto profittevole. Cosi Régis ha indossato il nuovo abito di nonno — un po' precocemente per esser veri, all'età né carne né pesce di 48 anni — e ha scritto una sua autobiografia apparentemente feroce ma sicuramente desolata, in cui mette a nudo i propri cosiddetti Errori di Gioventù, si dichiara un Vinto della Storia, e racconta però tanti aneddoti esotici e erotici, tanti avventurosi viaggetti. Ecce homo — comincia col dire — e subito confessa tuttavia che non è Uomo bensì Maschera, che sempre ha portato maschere (anche adesso che è consigliere di Mitterrand e membro della Corte dei conti) e altro non è che «un Pierrot ondeggiante, ogni filo spezzato, in cerca di marionettista». Nulla a che vedere insomma con la divina marionetta di Kleist, nulla con la marionetta Ideofora di Guido Ceronetti. Da quando non «reca» rivoluzioni né ideologie, Debray non trasporta nemmeno più Idee, anzi si scatena contro «l'isteria dei fabbricanti di idee» e annuncia, con nichilismo futuristico-dannunziano: «Non sono uno Zorro delle idee, il mondo non è governato da queste ultime bensì dalle passioni». Perfino Camus gli risulta fastidioso, per una volta l'autore dimentica il proprio antiamericanismo e se ne esce con un: «So what. Mister Camus?». Il libro di Debray, da ieri nelle librerie, si intitola Maschere (editore Gallimard). Se non è ideoforo è semaforo, almeno? Reca un segnale, indica una strada a nipoti e posteri? Nemmeno questo. Probabilmente conforterà un certo numero di delusi del '68, ma dubito che il libroconfessione edifichi, o per lo meno commuova Come può commuovere un ex rivoluzionario che confessa di essere stato spia del regime castrista e non ingenuo giornalista, di aver ingannato la casa editrice Maspero e chiunque credeva in lui, di essere entrato all'Eliseo per masochismo, se poi sulla via di Damasco non ha scoperto null'altro che la propria mediocrità, la propria propensione a «stancarsi» e «annoiarsi di tutto», il disprezzo dei seri e dei responsabili. Il tedium vitae può essere una virtù, di santi o poeti. Ma quando sei nella stanza dei bottoni, e non sei né santo né poeta, la noia leopardiana non è decente, rivela solo il tuo bisogno — imperituro — di servire i capi: di cercare marionettisti. «Sono un refrat¬ tario che resta nei ranghi, riconosce, preferisco ricevere gli ordini piuttosto che darli». In linguaggio meno eufemistico dovrebbe dire: sono un gregario. Uomo di molti greggi. Ma a tanta chiarezza su se stesso Debray non arriva. Non conosce i dubbi di Arthur Schnitzler, non sa che «la profondità di pensiero non ha mai rischiarato il mondo. E' la chiarezza di pensiero a penetrarlo più profondamente». Il fatto è che Debray pensa di aver fatto chiarezza Gli sembra di aver capito che due soli valori sopravvivono ai diluvi: l'amore della propria terra («della Francia profonda») e l'amore delle donne che ha avute, e perdute. In particolare resta il ricordo degli amplessi mancati: tanti amplessi, perché Debray confessa anche di essere «un buon uomo di letto». «Come siamo stupidi a vent'anni», si lamenta, per poi deduire che «ogni grandezza è una trappola», che ogni responsabilità è una scocciatura, e che dietro ogni uomo politico «c'è una storia di donne, e di tradimenti di donne». A metà libro; Debray racconta il piacere che prova a «scoprire per filo e per segno la commedia umana del mio seco¬ lo», nella stanza dei bottoni accanto a Mitterrand. Non lo dice ma forse sogna di assomigliare a Balzac, di illustrare una universale Commedia Umana nel momento in cui mette in scena il romanzo della propria educazione. Più che a Balzac, tuttavia, Debray fa pensare a uno dei più mesti, più avvilenti eroi di Gustave Flaubert: a Frédéric Moreau, il «vergognoso, vinto, spezzato» protagonista dell'Educazione Sentimentale. L'equivalente maschile di Madame Bovary. Alla fine delle sue numerose traversie, dopo aver tentato invano di conquistare Parigi, la gloria, e le donne, Frédéric Moreau è perduto fra le rovine dei suoi sogni pieno di dolore e scoraggia mento. E' annoiato anche lui, anche lui ha in odio le idee e non apprezza che i sentimen ti. Riconosciuto Io scacco, non «desidera altro che la fre schezza dell'erba, il riposo del la provincia, una vita sonnolen ta passata all'ombra del tetto natale», il romanzo della vita di Moreau si conclude così, rievocando vecchie storie di donne e di bordelli: «E' quel tempo che abbiamo avuto il meglio della vita!» disse Frédéric. Barbara Spinelli Régis Debray

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