Quando l'onorevole è irresponsabile

Quando l'onorevole è irresponsabile Il parlamentare risponde in sede civile delle opinioni espresse esercitando le sue funzioni? Quando l'onorevole è irresponsabile Undici magistrati accusano un ex senatore missino di avere offeso la loro reputazione - La Corte Costituzionale dovrà stabilire se il giudice può pronunciarsi sulla richiesta di indennizzo avanzata ROMA — La Corte Costituzionale dovrà stabilire quali sono i limiti e i confini dell'immunità parlamentare. Per la prima volta in 40 anni viene in discussione davanti all'Alta Corte questo delicato interrogativo: il giudice può pronunciarsi in sede civile «Olla richiesta di indennizzo avanzata da un cittadino per Te dichiarazioni di un parlamentare? H Senato sostiene che 1 membri delle Camere non possono essere perseguiti in sede penale, civile, amministrativa e disciplinare per le opinioni espresse nell'esercizio delle funzioni. Una «Irresponsabilità* totale che copre qualsiasi manifestazione del loro pensiero. La magistratura sostiene invece il contrario e ritiene che il limite dell'immunità, garantita dall'articolo 68 della Costituzione, vale soltanto per l'azione penale. La Corte d'appello di Roma si è cosi rivolta alla Corte Costituzionale sollevando 11 cosiddetto 'conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato. (cioè tra potere giudiziario e potere legislativo). Sostengono i giudici che il Senato, anziché limitarsi a •congelare» un processo penale per diffamazione, avesse illegittimamente esteso l'insindacabilità del giudizio da parte della magistratura anche alla vertenza civile di responsabilità riguardante le affermazioni di un ex senatore. Il parlamentare, 11 missino Michele Màrchio, era stato accusato di aver leso l'onore e la reputazione degli undici giudici della sezione fallimentare del tribunale di Roma, 1 quali nel 1980 decretarono il clamoroso crack da mille miliardi di lire dei fratelli Caltagirone e delle centoventi società ad essi collegate. Mercoledì prossimo i giudici di palazzo della Consulta dovranno esaminare in camera di consiglio l'ammissibilità della richiesta della Corte d'appello. E solo se — al termine dell'udienza a porte chiuse — riterranno tutto in regola, dovranno poi pronunciarsi nel merito di questo «braccio di ferro» fra magistratura e Parlamento, proprio mentre è in dirittura d'arrivo la nuova normativa per disciplinare la responsabilità civile dei giudici. L'antefatto della singolare vertenza rìsale a sette anni fa quando sul quotidiano -Il Secolo d'Italia., organo ufficiale del Movimento Sociale Italiano, furono pubblicati tre articoli che i giudici Vittorio Palmisano, Tommaso Figliuzzi, Giovanni Prestipino, Giovanni Caramazza. Umberto Apice, Paolo Ce lotti. Paolo lzzo, Vittorio Ragonesi, Alessandro De Renzis, Giovanni Ferrara e Felice Terracciano ritennero lesivi del loro onore e della loro reputazione. Negli scritti, prendendo spunto da un'interrogazione del senatore Marchio rivolta al ministro di Grazia e Giustizia, relativa alla gestione dell'intera sezione fallimentare e riportando dichiarazioni del parlamentare missino, sarebbero stati prospettati fatti oggettivamente non veri, inducendo i lettori a credere che gli undici giudici, per finalità di ordine politico, avessero instaurato un «mercato degli incarichi», conferiti prevalentemente a professionisti legati al partito comunista. Il procedimento penale aperto dalla magistratura di Perugia fu però archiviato nei confronti dell'allora se¬ natore Marchio, perché il Senato nell'ottava legislatura negò l'autorizzazione a procedere per il reato di diffamazione aggravata. Gli undici magistrati iniziarono cosi un giudizio davanti al tribunale civile di Roma nei confronti dell'ex parlamentare (Marchio non è stato rieletto il 14 giugno scorso), nonché del direttore responsabile del .Secolo d'Italia. Franz Maria d'Asaro e dell'allora segretario missino Giorgio Almirante, quale proprietario ed editore del quotidiano, per ottenere un indennizzo di almeno 100 milioni di lire a testa. Il 19 giugno '85 il tribunale di Roma condannò il senatore Marchio insieme ad Almirante e a d'Asaro a pagare 35 milioni al giudice Terracciano e 30 milioni a ciascuno degli altri dieci magistrati. In totale 335 milioni di lire oltre alla pubblicazione del dispositivo su quattro quotidiani. Il verdetto fu però subito impugnato dai tre missini. Nel corso del giudizio di secondo grado, il 5 marzo '86, l'assemblea di Palazzo Madama approvò le conclusioni adottate dalla Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari del Senato, affermando che «t fatti per cui è stata richiesta l'autorizzazione a procedere nei confronti del senatore Marchio (diffamazione aggravata a mezzo stampa per le dichiarazioni pubblicate il 16 aprile '81 sul Secolo d'Italia; ri-r cadono nella prerogativadelia insindacabilità sancita dall'articolo 68, primo comma, della Costituzione. L'effetto naturale della insindacabilità, sanzionata per i fatti esaminati, consiste nella irresponsabilità assoluta (penale, civile, amministrativa). Pertanto il procedimento civile pendente, nel quale il senatore Marchio è convenuto per il risarcimento del danno, è necessariamente assorbito dalla predetta deliberazione di insindacabilità» . La prima sezione civile della Corte d'appello di Roma, presieduta da Carlo Minniti, dopo aver preso atto della decisione delll'assemblea di Palazzo Madama, ha inviato gli atti alla Corte Costituzionale in applicazione dell'articolo 134 della Carta repubblicana. Pierluigi Franz