Un colpo di teatro a Genova di Alberto Papuzzi

Un colpo di teatro a Genova L'ORA X PER LA CITTA' TRA DECLINO E SVILUPPO Un colpo di teatro a Genova Lo sognano gli intellettuali che vivono in esilio nella loro città • «Imprenditoria e università sono mondi impermeabili» dicono gli editori - Edoardo Sanguineti: «Neppure l'alleanza di sinistra ha coinvolto una larga partecipazione» ■ Don Antonio Balletto: «Si è logorato il tessuto connettivo cattolico» - L'eccezione del Teatro Stabile • Il direttore Ivo Chiesa: «E* stata una specie di resistenza» - Lele Luzzati: «Viviamo in un collage» DAL NOSTRO INVIATO GENOVA — Fino a dieci anni fa Genova era la Cenerentola dell'editoria: non aveva case editrici con distribuzione nazionale, soltanto piccoli e raffinati editori locali. Alla fine degli Anni 70 un gruppo dì ex universitari diede vita al Melangolo (dodici titoli Vanno). All'inizio degli Anni SO una signora milanese sposata a un operatore marittimo genovese mise in piedi la Costa e Nolan (quindici titoli l'anno). Infine la Marietti, vecchia casa editrice torinese, superata una lunga crisi e uscita dall'amministrazione controllata, Ita trovato una nuova proprietà a Genova, dove si è trasferita nella primavera dell'86. Tre editori, un piccolo patrimonio, forse un ponte tra due città che non si parlavano, quella degli affari e quella della cultura. Ma proprio l'arrivo della Marietti è stato salutato da un episodio che potrebbe figurare in una commedia di Govi. Si era riunito un autorevole gruppo di genovesi che contano, in grado di firmare assegni par miliardi, in testa il finanziere Giamba Parodi, conosciuto come l'uomo più ricco della città. Proposta finale: l'editore predisponesse cinquanta abbonamenti da un milione cattano per acquisto libri, essi si sarebbero incaricati di venderli. Naturalmente non se n'è fatto niente. «Abbiamo ricevuto l'accoglienza che hanno tutte le novità qui a Genova», dice con filosofia don Antonio Balletto, presidente e direttore editoriale della Marietti. •La nostra venuta ha suscitato un misto di simpatia e di scetticismo. Insomma, di attendismo. Questa è una citta che sta a guardare». Caria Costa, amministratore delegato della' Costa' e Nolan: «La nostra- ambizione è stabilire dei cori tatti tra impretìaftòri é università, due mondi che oggi appaiono assolutamente impermeabili. Sarà cosi dappertutto, ma a Genova il distacco è totale. Di fronte al mon do delle Idee, scatta un'antica diffidenza». Vittorio Bo, amministratore del Melangolo, cugino del l'illustre critico letterario Carlo Bo: «Nei primi anni l'editoria era il nostro hobby. Adesso è un fatto molto più strutturato. Die tro i nostri libri c'è un gruppo che vuole rompere l'atmosfera di immobilismo, il cerchio di provincialismo» / cataloghi dei tre editori sono come delle nicchie. In questa città dove la vita pubblica sembra diventata asfittica, in questa città che vive quasi esclusivamente nel privato, anche la società intellettuale s'incontra, opera e produce allinterno di compartimenti stagni. Il che non significa gracilità, tutt'altro; ma il respiro che alimenta questi nuclei della cultura genovese è risucchiato dentro i vecchi palazzi che li ospitano. Alla Marietti si definiscono un «crocevia di esperienze»; dalle radici teologiche a confini quali ebraismo, cultura mitteleuropea, mondo musulmano. Costa e Nolan riscopre classici dimenticati come il Calcolo sopra la verità dell'istoria e altri scritti di Gianmaria Ortes (presentazione di Calvino). Il Melangolo esplora i sentieri del pensiero filosofico contemporaneo: Jaspers, Dumezil, soprattutto Heidegger, del quale ha in preparazione sei grossi libri. Genova dell'industria, della finanza, del porto, della crisi e della rivoluzione urbanistica resta fuori della porta. Questa editoria guarda al di là dei problemi della città. Più che esprimere una realtà genovese, si sforza di agganciare filoni nazionali e stabilire, contatti con i grandi centri della cultura italiana. Le sedi editoriali potrebbero ricordare gli «scagni», come si chiamavano i vecchi uffici degli operatori marittimi nel centro storico. Nicchie appunto, dove si concentravano traffici mondiali. Il -mondo dell'editoria non rappresenta-ovviamente tutta la vita culturale cittadina, ma ne rispecchia la struttura, le tendenze, i problemi. A Milano, Torino, Firenze, Bologna gli intellettuali hanno avuto e hanno un'identità e un ruolo come elementi fondamentali della società civile. A Genova l'intellettuale si porta sulle spalle un'eredità di scollamento e di diffidenze reciproche. E' un soggetto misterioso: per metà esiliato nella sua città, per metà sempre con la valigia in mano. «n distacco degli intellettuali non è uno stereotipo, è una realtà. Qualunque altra città, a parità di abitanti, ha una vita interna piti attiva», dice Edoardo Sanguineti, italianista, docente uniuersitario, ex deputato indipendente del pei. «L'università continua fondamentalmente una vita di separazione dalla città. Anche i colleglli delle facoltà scientifiche si lamentano della carenza di rapporti con le istituzioni. Neppure l'alleanza di sini¬ stra che ha governato la città per un decennio è riuscita a coinvolgere una larga partecipazione. E' rimasta la divisione tra politica e cultu ra. Questa è una città dove non ci si agita. Può cadere a pezzi una sede universitaria, come sta accadendo a Economia e commercio, e nessu no si muove. Da decenni Genova si presenta unificata, mentre non si deve dimenticare che è molto parcellizzata, con una vera frantumazione dei rapporti interni». E il mondo cattolico? Quel mondo che ha avuto nel cardinale Giuseppe Siri una delle figure più autorevoli e più contestate? «Si è logorato 11 tessuto connettivo cattolico che collegava le grandi famiglie con la città», risponde don Balletto, nella sede della Marietti. «Gli azionisti della casa editrice sono di area cristiana, rappresentano un effettivo impegno sociale, ma siamo in una scena molto diversa. Anche allora, d'altronde. Siri sembrava d'acciaio ma era di velina. I Costa erano tutti genuflessioni e baciamano al vescovo, ma poi se ne andavano per conto loro. Oggi più che mai. Ci sono 1 grossi nomi, i Costa, i Cauvin, i Garrone, i politici non contano più niente, le forze cattoliche vive lavorano nel silenzio, nel distacco. Anche nella cultura generale del prete c'è questo senso di distanza: la maggioranza dei parroci rifiuta il potere, se c'è una tensione, è quella del fermento sotterraneo». Ih questo quadro, l'eccezione^ storica è il Teatro Stabile, per qualità di spettacoli secondo soltanto al Piccolo di Milano. Un'eccezionp. più recente è la nuova e vivace gestione dell'Istituto Gramsci. «n mio ruolo? dice Ivo Chiesa, direttore dello Stabile da trentanni. Assicurare a Genova un pezzo di vita altamente civile. Questo pubblico, fatto di gente colta e riflessiva e di tantissimi giovani, è un pezzo della mia città. Noi abbiamo avuto successo perché abbiamo lavorato seriamente e i genovesi credono nelle cose che funzionano. Certo, è stata una specie di resistenza: restare e lavorare». «Gli intellettuali genovesi sono tecnicamente di altissimo livello ma tendono a rifiutare la socializzazione delle ricerche, dice l'avvocato Franco Monteverde, direttore del Gramsci da un anno e mezzo, bisogna provocarli, stanarli. Al pei. Invece, dormono il sonno del giusto. Noi da un anno a questa parte facciamo discutere insieme studiosi, imprenditori, politici. Facciamo da cerniera». Genova è l'unica città dove, per iniziativa dello Stabile, si è fatta in tre anni una lettura pubblica integrale della Divina Comme dia, al lunedi sera. Quest'an no si riparte con l'opera poetica di Montale, letta da Proclemer, Monconi, Gassman, Sbràgia. Quanto at Gramsci solo l'agenda di gennaio prevede: film Luce su Genova, recupero del centro storico, la condizione degli immigrati, incontro con il filosofo Gadamer, gli intellettuali genovesi a Auschwitz, il nuovo diritto d'autore. Ma l'identità culturale di Genova resta nascosta negli interstizi. Non dobbiamo di menticare che oqgi questa è diventata una città senza te¬ sta. Non c'è un cardine, rispetto al quale orientarsi o contrapporsi. Ecco perché anche Genova della cultura è fatta di singoli pezzi, piuttosto che di blocchi, di gruppi, di schieramenti, di politiche. Una realtà episodica, un mondo di scatole. Scatole dorate. Come Victor Vckmar, avvocato e fiscalista, famoso docente di diritto tributario, che è consulente, del Brasile per la riforma costituzionale e di Urss e Cirui per le joir,t ventures. Come Renzo Piano, l'architetto del Beaubourg, ora scoperto anche dai genovesi (suo il progetto per il vecchio porto), che ormai svolge la maggior parte della sua attività a Parigi e Houston. Come Nicola Costa, die si diplomò in pianoforte ed è presidente non solo della Costa Crociere ma anche della Giovine Orchestra Genovese, e si è battuto per la ricostruzione del teatro lirico Carlo Felice. O Lele Luzzati, artista, scenografo, illustratore, cartoonist, collaboratore di Calvino e di Rodali, anch'egli giramondo, che in città è l'anima del Teatrino della Tosse. «Genova è un collage teatrale, dice appunto Luzzati, non la si capisce se non si comprende che è una città di quinte, una città scenica. Per questo ci sto bene e non vorrei mal che diventasse come Roma o Milano. In quale altra città esistono gli ascensori pubblici?». La cultura di Genova sarà dunque la finzione, la recita? E' questa la segreta ragione per cui la città può tenere insieme tanti pezzi separati? E può tenere in sospeso, come accade oggi, cambiamenti totali, fissando una scadenza spettacolare come le Colombìadi del 1992? «Non dobbiamo giudicare la città per quello che è stata ma per quello che sarà, dice Ivo Chiesa. Nessun'altra città d'Europa vedrà una trasformazione come Genova. Accadrà in quattro anni quello che non è accaduto in venti». Forse è un sogno: ma se dovesse realizzarsi sarebbe un vero colpo di teatro. Alberto Papuzzi (Fine. I precedenti articoli sono stati pubblicati il 22 e il 29 dicembre). Genova. L'ingresso dell'Università: «una vita separata dalla città» («La Stampa» - Cesare Bosio)