Dai lirici greci a Goethe: le parole che attraversano i secoli

Dai lirici greci a Goethe: le parole che attraversano i secoli Dai lirici greci a Goethe: le parole che attraversano i secoli DUE poli o due vette che delimitano l'inizio e la fine della lirica classica. Saffo e Goethe, arrivano per questo Natale con l'eleganza e il rispetto anche editoriale a loro dovuti. I lirici greci arcaici sono proposti in un libriccino dell editrice fiorentina Le Lettere con la fine traduzione di Manara Valgimigli (Saffo, Archiloco e altri lirici greci, pp. 194, s.i.p.). Sono solo le briciole preservate da intelligenti o casuali citatori antichi, oppure dalle avare e pur provvide sabbie del deserto egiziano gravido di Eapiri. Ma proprio per questo anno una suggestione e una preziosità incomparabili. Saffo, Archiloco, Alceo, Ipponatte, Alcmane, Anacreonte, qualche saggio di poesia alessandrina. Valgimigli ha detto e ridetto a lungo dectro di sé quei pochi versi, che il gusto coev della poesia ermetica per il frammento rinnovava nell'attenzione dei lettori e nelle versioni dei letterati; ne ha rifratto con immediatezza la voce, velandola solo «di reverenza», il segno del deposito del tempo e della nostra nostalgia verso quella stagione di poeti fragili e troppo perduti. Dalle loro poche decine alle tremila poesie di Johann Wolfgang Goethe, «l'ultimo umanista» come lo definisce Roberto Fertonani in apertura dell'edizione da lui curata di Tutte le poesie per I Meridiani Mondadori (pp. LIV, L.80.000). Biglietti d'amore I primi due tomi usciti comprendono le poesie scelte da Goethe stesso, l'edizione insomma di prima e di ultima mano dell'autore, con tedesco a fronte e versione di vari traduttori, commento, note e indici fertilissimi (cinquecento pagine su settecento di testo). Dire noi della grandezza e bellezza di questo patrimonio immenso, che abbraccia tutte le forme poetiche e tutte le cose della vita, dai lieder elle ballate agli epigrammi alle elegie alle dediche ai biglietti alle parabole ai motti proverbiali, e dall'amore all'arte a «Dio e il mondo», sarebbe ridicolo. Ascoltiamo Fertonani: vi si ritrova davvero «ciò che si chiama da sempre poesia»: non solo la capacità di destreggiarsi con gli strumenti del mestiere, non ignota anche ai dilettanti, ma «quel fascio di qualità innate», quel dono che comprende «la genuinità del sentimento e la profondità del pensiero». Eppure anche un così grande si sentiva davanti agli elementi del mondo e del poetare come il minatore che fa brillare una mina: «Vedi, amata, cosa capita al brillatore?/Istruito su come si tuona su misura/mina, lui, esperto di labirinti, le sue caverne;/ma è più grande la forza degli elementi/e prima che se ne accorga, viene dilaniato, / nell'aria, lui con tutte le sue arti» («Il poeta», dai Sonetti, nella traduzione di Fertonani)! Se a questi olimpi siderei si preferisca il magma terragno, un'invenzione in cui prevalga, istintiva o pensata, la stravaganza insieme alla regola ecco un latinastro di ottima lega e ottimamente risvegliato. Dall'alto Medioevo giunge a Suesta nostra soglia della fine el secondo millennio la cronaca della fine del primo per la penna del monaco borgognone Rodolfo, detto il Glabro, {Cronache del'anno mille, Mondadori-Fondazione Valla, a cura di Guglielmo Cavallo e Giovanni Orlandi, pp.LXXXIX con il¬ lustrazioni tratte da codici medievali, L.40.000). Nell'ultima parte della sua vita, fra Cluny e Saint-Germain d'Auxerre, Rodolfo compilò cinque libri di «Storie», il cui nucleo più interessante e famoso è quello che narra le catastrofi e i prodigi che segnarono in tutta Europa il fatidico giro di boa dei mille anni dalla nascita di Cristo: guerre, pestilenze, balene in Normandia, lupi in chiesa, incendi e terremoti, pirati e comete, eresie e inondazioni. ' Son tutti fatti che «suggeriscono a ciascuno opportune precauzioni», dice il tetro, catastrofico, assatanato Senza-Peli; che però alla fine squarcia il quadro e col millennio della Passione del Signore, nel 1034, rimette in moto la sfera del globo su binari più scorrevoli, lasciando anche a noi speranza per i nostri orrori. Nel paese di Cuccagna L'allegro temperamento di Teofilo Folengo, la gaia traduzione e il commento prezioso di Emilio Faccioli ci promettono invece cuccagna col Baldus. Cuccagna non solo di vicende grasse e strampalate, ma di salse in lingua nel maccheronico, a fronte in questa grande edizione nei «Millenni» Einaudi (pp. L.-940, L.85.000). Chi non ne può più dell'Aurora greca «dalle dita rosate», vada lì a leggersi i tramonti, quando Febo «giunsit acasam, / chiamavitque suos alta cum voce fameios»; i quali «patronem volant de carro tollere giusum», poi a sfregare con la paglia i cavalli sudati... Così, o ancor peggio o meglio tutto quanto; per Folengo la Musa non è che una cuoca che confeziona torte e minestroni e imbocca i suoi beniamini di gnocchi «da governare a dovere nel ventre»; e voi lettori «leccatene le scodelle» finché non siate sazi. I problemi opposti furono quelli del faraone Micerino, di cui ci racconta la storia — la favola! — Erodoto nel secondo libro delle sue Storie (Mondadori -Fondazione Valla, a cura di A. L. Lloyd e A. Fraschetti, pp.LXI-409, L.45.000). Ricco di venti concubine, generoso e gaudente, quel faraone ebbe da un oracolo la predizione di sei anni soli di vita, dopo di che sarebbe morto nonostante la sua pietà, ed anzi proprio per quella, poiché non aveva capito che il suo regno aveva bisogno non di prosperità, ma di sventure. Fece allora costruire una grande quantità di lampade, e al calar della notte le faceva accendere e cominciava a bere e a darsi ai godimenti senza smettere mai per ventiquattr'ore filate: si aggirava fra gli stagni e i boschetti dove sapeva che c'erano i luoghi più piacevoli e belli, e così beffò l'oracolo, raddoppiando i sei in dodici anni. Nelle isole vaganti Ai suoi tempi, riferisce ancora Erodoto, forse visse, ma forse no, anche una cortigiana di nome Rodopi, che con i suoi proventi fece costruire una piramide e fu l'amante di Carasso fratello di Saffo, perciò rimbrottato dalla sorella in un suo carme, che si trova nell'edizione dei lirici greci di Manara Valgimigli, pubblicata dalle Lettere. Fantasia diversa, alimentata da fonti di ogni parte del mondo e dalla lontananza dei tempi non meno che dei luoghi, da infiniti passaggi della tradizione, è quella che anima un «isolano» pure medievale raccolto, anto¬ logizzato e commentato da Angelo Arioli per i Saggi Einaudi (Le isole mirabili. Periblo arabo medievale, pp.XIV-248, L.50.000). Una catena di isole immaginate o comunque mirabili, che geografi e storici arabi citarono nelle loro opere fra IX e XV secolo: isole vaganti, intermittenti, amene, crudeli, fertili di ambra e cocco, abitate da androgini, da giovani perenni, da barbuti col volto sopra la schiena, e avanti di questo passo — con cui, del resto, camminava spesso anche Plinio e talvolta persino Aristotele. Chissà cosa ne avrebbe detto Francesco Carletti pochi decenni dopo l'ultimo di questi narratori, lui negriero e mercante inaffondabile e inattaccabile da letterature, eppure autore di un classico dei viaggi: i Ragionamenti sul suo periplo del mondo da Est a Ovest fra il 1594 e il 1606, ora presentato con convinzione e competenza da Paolo Collo nella Nuova Universale Einaudi (pp.XXI-227, L.26.000). L'isola beata del carletti era già il Giappone, perché «vi si può passare la vita felicemente con pochissima spesa». Cario Carena

Luoghi citati: Europa, Giappone, Normandia