«Così giocai il Kgb» di Emanuele Novazio

«Così giocai il Kgb» Moscovita racconta a un giornale come si cercò di reclutarlo «Così giocai il Kgb» «Con trucchi e minaccefui convocato nella sede della polizia segreta» «Per non diventare agente segreto, feci lo sciocco ma non firmai nulla» MOSCA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE L'ombra lunga del Kgb, Mikhail Cheveliov la incontrò sulla via Gorky, un pomeriggio dell'aprile di cinque anni fa, e per alcune settimane ne fu ossessionato, se la portò appresso ovunque: quel pomeriggio sulla Gorky, il Kgb tentò di reclutarlo e trasformarlo in un informatore da infiltrare chissà dove. Andò avanti per un mese o poco più, fra convocazioni, allusioni, finte e minacce. Finché tutto finì e, in apparenza almeno, non se ne parlò più. Ieri, Cheveliov ha affidato la sua storia a Moskovskie Novosti. Senza chiarire tutto, forse, ma con un gusto della «prima» che farà scuola. Comincia mentre Cheveliov passeggia con un'amica americana. Due miliziani, insieme a due civili, li fermano, chiedono i loro documenti, dicono che lui assomiglia a un famoso criminale e lo scortano al posto di polizia più vicino. Gli sequestrano i documenti e un'agenda, lasciano un numero di telefono: per recuperarli, dovrà chiamarlo. La ragazza lo accompagna, anche a lei sequestrano documenti e agenda, ma glieli ridaranno subito e non entrerà più nella storia. Quando Cheveliov telefona, invece, ha una sorpresa: gli si dice che per chiudere definiti¬ vamente la vicenda deve presentarsi in piazza Dzerjinski, alla sede del Kgb. Lui fiuta la trappola. Difatti: per cinque ore un agente della polizia ~egreta, che si presenta come Alexander Nikolaiev gli fa domande sul lavoro, i conoscenti, gli stranieri che frequenta. Prima di concludere il colloquio, però, gli mostra il verbale dei miliziani che lo avevano fermato in via Gorky: risulta che Cheveliov ha fatto resistenza e si è rifiutato di seguirli. Basterebbe questo, gli spiega Nikolaiev, per passare due settimane in carcere. Ma c'è il posto di lavoro, colleghi e superiori potrebbero esserne informati: «Il conflitto è aperto, ma possiamo ricomporlo», gli offre, e suggerisce: bisogna che ci rivediamo. Due giorni dopo, Cheveliov ritorna in piazza Dzerjinski. Ma prima di andarci si consulta con gli amici: un procuratore, uno scrittore, un giornalista. Gli racconta tutto, e loro unanimi gli consigliano di «fare lo sciocco e non firmare niente». Quando dunque rivede Cheveliov, Nikolaiev gli propone di liberarsi del suo «problema con la milizia», accettando di cooperare con il Kgb. «A partire da quel momento, ho cominciato a comportarmi da sciocco», ricorda oggi. Va avanti un mese, fra una convocazione e l'altra, e nel frattempo accadono cose biz¬ zarre. Un giorno, quando ormai Cheveliov ha deciso di rispondere di nuovo al telefono dopo averci rinunciato a lungo, arriva la chiamata di qualcuno che si presenta come «un giornalista di Parada»: «So che lei è seguito dal Kgb, perché non facciamo una chiacchierata?», gli propone. Cheveliov non ci sta e protesta anzi col suo contatto al Kgb, che gli suggerisce una conferenza-stampa per «smascherare le provocazioni». La risposta è ancora no, nel timore di altre provocazioni: alla conferenza-stampa, non si potrebbe parlare dei contatti già avvenuti. «Non so e non saprò mai perché mi hanno preso di mira e chi pensavano che fossi: un trafficante di valuta, un cretino? Certo, qualcuno aveva deciso che sarei diventato un perfetto collaboratore», riflette adesso Cheveliov. Per lui la storia è finita bene, perché non ha mai firmato la resa offertagli da Nikolaiev; ma nei lunghi colloqui in piazza Dzerjinski qualche soddisfazione alle insistenze della polizia segreta l'ha data, confessa adesso: per esempio sulle attività degli amici americani. Ha firmato anche un documento, un impegno a non parlare dei suoi incontri al Kgb. Cinque anni dopo ha deciso che è meglio parlarne. Emanuele Novazio

Persone citate: Alexander Nikolaiev, Gorky, Mikhail Cheveliov, Parada

Luoghi citati: Mosca