Paura e vendette in Transilvania di Guido Rampoldi

Paura e vendette in Transilvania Così il popolo di Cluj ha affrontato i reparti militari responsabili dei massacri Paura e vendette in Transilvania / capi delpc e della Securitate sottratti al linciaggio CLUJ DAL NOSTRO INVIATO Man mano che avanzi, oltre il confine con l'Ungheria, l'euforico Natale romeno svanisce e senti crescere nell'aria incertezza e paura. A Oradea, appena superata la frontiera, incontri per le strade folle in festa che levano le dita nel segno della vittoria verso le rare macchine di passaggio, schiere di palazzi drappeggiati da bandiere nazionali con un grande foro al centro al posto dello stemma del comunismo romeno; e a Tinaud un cartello che raffigura una piccola dimostrazione: «L'Europa è con noi». Ma più avanti, ecco i carri armati sbucare dalla nebbia che racchiude il centro di Cluj, trecentomila abitanti, capitale storica della Transilvania. Il tank che sbarra l'ingresso dell'ex sede del partito comunista, da venerdì in mano agli insorti, ha un fiore rosso legato alla mitraglia; ma dietro il portone, nel fracasso di una radio che alterna rock ai bollettini da Bucarest, soldati in assetto di guerra attendono sul chi vive un nemico che nessuno sa dove sia ne di quante forze disponga, ma che ha sparato ancora, ieri mattina nel quartiere di Manastur. «Sono stati gli uomini della Securitate, hanno ancora armi e possono nascondersi dovunque, anche qua fuori», dice con foga Vasile Aileni, insegnante di liceo, uno degli SO che adesso compongono il comitato cittadino del Fronte di salvezza nazionale, più un ospite che il padrone di casa in questo vecchio palazzo barocco occupato in ogni piano da chi detiene il poter» -sale: i militari. Quauao l'Armata è entrata in scena giovedì scorso in piazza della Libertà, stava dalla parte opposta. Una fila di soldati in ginocchio puntava dei fucili contro duemila persone. Alle spalle dei soldati, gli uomini della Securitate: avrebbero sparato solo loro, si vuole credere adesso. Il primo a cadere è stato Calin Nepies, 28 anni, poeta, che aveva sfidato i militari denudandosi il petto davanti ai moschetti. Poi era stramazzato lo scultore Lucien Matis, 29 anni, il più noto artista di Cluj, colpito a morte mentre cantava un inno patriottico. E quindi gli altri, molti dei quali vengono sepolti adesso nella terra nera del cimitero. Ventimila persone emozionate e guardinghe sono intorno alle bare aperte; sotto veli trasparenti, i giovani volti degli uccisi. «Elettricista, infermiere, artista, operaio, operaio, operaio. ..», spiegano i necrologi stampati sulla prima pagina di Adevaru, ex quotidiano del partito, da tre giorni voce della rivoluzione. «I nostri eroi», li definisce il grande drappo che sovrasta i feretri. Ma la rivoluzione non è lineare come l'etica di questo funerale. Nella folla, un uomo indica di soppiatto le divise blu della Securitate, i pretoriani del regime in parte pas- sati ufficialmente con la rivoluzione, e sussurra: «Bisognava arrestarli tutti. Liberi, organizzeranno il terrorismo». Invece gli arrestati sono soltanto tre, contro almeno trenta morti e cinquanta feriti. E' in carcere il maggiore Borsari, catturato domenica mattina durante un folle raid in centro: secondo testimoni, avrebbe tirato a freddo contro i passanti, da un'auto della polizia. Poi il capo della Securitate, maggiore Serbanu. Infine il capo del partito, Ioachim Moga, preso venerdì mattina dalla folla che ha invaso la sede del partito comunista. L'ha salvato il presidente del comitato rivoluzionario, un celebrato attore: Dorel Visan, 52 anni, candidato al podio nel film-festival '88 di Berlino. «Volevano linciarlo, era terrorizzato. La folla aveva preso a distruggere, con furia, tutti i ritratti di Ceausescu, e voleva dare fuoco a questo lussuoso palazzo, dove erano imprigionati gli impiegati». Quel venerdì probabilmente si è decisa la sorte non solo di Cluj ma di tutta la Transilvania, la regione in cui è bruciata la miccia che ha fatto esplodere Bucarest. Dopo il massacro di Timisoara, le tre guarnigioni attestate nella provincia di Cluj sono diventate l'ago della bilancia, e forse il teatro di uno scontro interno alle gerarchie militari. Di fatto quel giorno i vertici militari accolsero la richiesta d'aiuto giunta attraverso gli emissari del vero leader della rivoluzione a Cluj, una donna: Doina Cornea, l'anziana studiosa di letteratura francese per anni agli arresti domiciliari e adesso a Bucarest, nella leadership che tenta di riprendere in mano il Paese; è apparsa ieri sera nella straordinaria e caotica «non-stop» della tv rumena, e col volto rigato di lacrime ha raccontato «il buio infinito che ha circondato le nostre vite, in tutti questi anni». Ma allo stesso tempo anche il vertice della Securitate tentò di convincere le truppe a combattere la sollevazione. Furono momenti drammatici, con la stessa Securitate divisa al suo interno tra la componente militare e quella civile (equivalente ad una polizia politica occulta: secondo voci, questa spaccatura sarebbe stata visibile anche nel massacro di giovedì, quando due uomini in divisa blu avrebbero freddato un loro collega della Securitate che aveva sparato sulla folla). Nella notte, Ceausescu tentò di chiuderà la partita con i militari ribelli. Il blitz fu affidato ad un battaglione trasportato nella zona da elicotteri. Quello che accadde, come l'effettiva provenienza degli assaltatori (rumeni della guardia personale di Ceausescu? stranieri?) è avvolto nel mistero. L'Armata ha negato informazioni anche al presidente del fronte, Visan: «Le notizie sono coperte dal segreto militare». Pare che tre elicotteri siano stati abbattuti. Il blitz co- munque fallì. Sabato, mentre qua e là si continuava a sparare, il palazzo del partito divenne la sede del comitato rivoluzionario, nel quale hanno trovato posto alcuni dissidenti, molti intellettuali condannati alla disoccupazione e un certo gruppo di comunisti un tempo fedeli al regime ma rapidi nel riciclarsi. Il comitato organizzò in guardia popolare, disarmata, gli allievi di una palestra di karaté; disciplinò gli operai nel kombinat che avevano trovato un arsenale nascosto nello stabilimento, assunse, almeno formalmente, il controllo delle forze armate di stanza nella regione: ma soltanto per ventiquattro ore, perchè domenica, da Bucarest, fecero sapere che l'Armata aveva priorità assoluta nelle decisioni. Adesso si combatte un nemico che potrebbe essere rientrato nei ranghi militari, per colpire a tradimento. Di notte tutti si tappano in casa, chi esce rischia una pallottola. L'antiterrorismo è affidato a giganteschi tank piazzati nelle strade, e a ventiquattro poliziotti, gli unici della Milizia cui è consentito ancora a portare armi. La libertà per ora sono i giornali, dove si pubblicano caricature di Ceausescu con i canini di Dracula; il cibo, che non è più razionato come negli ultimi tre anni; e un imponente quantità di medicinali, arrivati da mezza Europa. Guido Rampoldi Da una fossa comune affiora il corpo mutilato di una delle 4600 vittime del weekend di sangue a Timisoara