In Usa c'è voglia d'Europa

In Usa c'è voglia d'Europa Baker adesso dimentica l'Asia e punta a un'alleanza con la Cee In Usa c'è voglia d'Europa E'partita la corsa alle joint-ventures WASHINGTON DAL NOSTRO CORRISPONDENTE La conversione di James Baker, ex maggiore dei marines, texano eccellente, è stata fulminea e spettacolare. Di fronte agli sconvolgimenti dell'impero sovietico, il re della diplomazia americana, la mente politica del governo Bush, ha abbandonato il disegno di una comunità asiatica delle economie per quello di una atlantica da Washington a Mosca. Come ministro del Tesoro sotto Reagan, a poco a poco Baker aveva concepito l'idea di un megamercato comune del Pacifico che includesse l'America, una sorta di Santa Alleanza col Giappone, contrapposta alla Cee del '92. Come segretario di Stato sotto Bush, di colpo, tra la sorpresa degli alleati, Baker ha proclamato la nuova disperata voglia d'Europa degli Stati Uniti. Dal giorno alla notte, alla denuncia della Cee isolazionista ha sostituito la richiesta di associazione a essa, un legame istituzionale che consacri la vocazione europea dell'America. Come San Paolo sulla strada di Damasco, Baker «ha visto la luce». «Si è reso conto — ha commentato il premio Nobel dell'economia Paul Samuelson — che il mercato Europa Est-Europa Ovest è potenzialmente il più grande della storia». Non è stata solo la presa di coscienza che le sorti del mondo nel 2000 verranno decise sullo scacchiere europeo a convertire Baker. Il segretario di Stato si è anche reso conto che la locomotiva americana ha imboccato un binario nuovo: una rotaia è la sua ristrutturazione da un'industria paramilitare a un'industria di pace, l'altra rotaia è l'anticipazione delle grandi aziende Usa che il «boom» di fine secolo avverrà in Europa. Di fatto, Baker è saltato sul treno in corsa di colossi come la Att, la General Motors, la Boeing. Non rimanere esclusi dalle due Europe consociate che si delineano col gorbaciovismo è diventato l'obiettivo prioritario del prossimo decennio per gli Stati Uniti. Alla testa del movimento «l'America in Europa», come lo ha chiamato Samuelson, ci sono i supermanagers. Il futuro capo della Ford, Polling, formatosi in Germania e in Inghilterra, ha dichiarato che «tra pochi anni la produzione di auto Usa sarà in eccesso di tre milioni di veicoli sulla domanda interna, e per noi la conquista dei mercati europei è dunque una questione di sopravvivenza». Il presidente uscente della General Motors, Roger Smith, gli ha fatto eco: «Polling ha comperato la Jaguar e io la Saab perché dobbiamo espanderci oltre l'Atlantico». Ha sottolineato John Akers, il boss dell Ibm, il gigante dei computerei «Da qualche anno, l'andamento dell'Ibm in Europa è migliore che negli Stati Uniti: qui non siamo lontani dalla saturazione, là la domanda deve ancora esplodere». L'aspetto più interessante di questa rivoluzione culturale in corso tra gli imprenditori Usa è che essi non fanno quasi più distinzione tra la Cee e il Comecom, il mercato comune del Paesi comunisti. John Welch, il presidente della General Electric, investe in Ungheria e in Polonia «perché i loro confini con le nazioni europee occidentali sono più formali che sostanziali». La rivista Business Week, la Bibbia di Wall Street, ha scritto che gli industriali americani «si sono risvegliati quando hanno visto da un lato la Cee spiccare la corsa verso il '92 e dall'altro lato gli europei dell'Est gettarsi nelle sue braccia». «Le prospettive sono entusiasmanti — ha aggiunto la rivista — la nuova grande Europa, teoricamente più forte dell'America e del Giappone insieme, potrebbe generare il prossimo miracolo economico... La sua parte centrale era il cuore manufatturiero del mondo prima della guerra, l'attuale generazione di impiegati e operai è la più colta e preparata della storia». La molla degli Stati Uniti è la superiorità finanziaria e tecnologica, che tornerà a vantaggio di tutte e due le Europe. Essi offrono i migliori servizi assicurativi e di telecomunicazioni, sono i più avanzati nel software e nella bioingegneria. Non è un caso che persino l'Urss si rivolga a loro, anziché alla Germania o al Giappone, per rico¬ struire la sua rete telefonica, o dotarsi di un sistema di computerà. Il massimo contratto in quest'ultimo campo sta andando a una ditta della California, la Phoenix, per 8 miliardi di dollari, 10 mila miliardi di lire. Con una metafora curiosa, Samuelson ha detto che nel '92 «dopo cinquecento anni Cristoforo Colombo rientrerà in Europa». Il premio Nobel dell'economia ritiene che gli Usa arresteranno così il proprio declino industriale, causato dall'invasione giapponese. «Gli storici eventi dell Est europeo hanno cambiato non solo il nostro modo di pensare ma anche quello della Cee... Il dialogo Washington Bruxelles è più facile e costruttivo: per esempio, la nuova legislazione comunitaria sulle banche non va più a scapito delle nostre istituzioni finanziarie... Sui mercati europei gli Stati Uniti potranno sconfiggere anche la competizione nipponica». L'America non può pensare di divenire il tredicesimo Stato della Cee, ha concluso Samuelson, e non è certamente quello a cui mira Baker. Ma è legittimo che conti su una «special relationship» con essa, del tipo di quella mantenuta per secoli con l'Inghilterra. Al capitolo delle multinazionali Usa, a torto o ragione giudicati strumenti di sfruttamento coloniale, succederà quello delle joint ventures euro-americane. Il primo passo verso entità transnazionali sarà compiuto dall'industria [e.c] LO SHOPPING A STELLE E STRISCE NEL VECCHIO CONTINENTE ACQUISIZIONI USA NEI PRIMI 9 MES11989 IN MILIONI DI ECU [1 ECU = 1.512 LIRE] 8399,4 6156,2 §287 1673.2 2155,1 1767,5 2311,8 3436,6 GEN FEB MAR APR MAG GIÙ LUG AGO SET