Ceausescu, da Zio Nicu a Dracula di Domenico Quirico

Ceausescu, da Zio Nicu a Dracula Palazzi faraonici, città distrutte per far posto a falansteri: le follie d'un regno rosso Ceausescu, da Zio Nicu a Dracula Culto della personalità, ferocia e tanto nepotismo Ha diritto a un posto d'onore nel museo degli orrori delle dittature del ventesimo secolo, con la nuova Cancelleria con cui Hitler voleva celebrare il Reich millenario, il ritratto scolpito nella montagna per immortalare i fasti di Marcos, padre padrone delle Filippine. La Casa della Repubblica a Bucarest, incrocio tra la follia di un re assiro e i grigiori di un architetto staliniano, se non cadrà sotto il piccone liberatore della rivoluzione, resterà come l'incubo in pietra di un popolo. Il «genio dei Carpazi», il «grande timoniere», il «primo pensatore della terra» voleva fosse visibile da lontano; per questo emerge nel centro della capitale, spettro di granito che conclude il gigantesco viale della Vittoria del socialismo, tra le quinte di palazzi vuoti e tristi. Come un moderno Faraone, armato di ruspa e cemento armato, Ceausescu sognava di cambiare faccia al suo Paese lacero e affamato come aveva sventrato, tra l'orrore dell'Unesco, la scenografia della sua capitale. Così gli architetti del regime, mentre la gente passava la giornata in coda alla ricerca di un zampa di maiale o di un po' di latte, inventavano al tecnigrafo i nuovi «complessi agroindustrali», premessa indispensabile perché nel Duemila «ad ogni cittadino fossero garantite almeno tre cosce di pollo la settimana». Ottomila cittadine e villaggi dovevano sparire, cancellati da un giorno all'altro dalla faccia dell'Europa. Via le vecchie, solide case di legno, testimonianza di una civiltà secolare sopravvissuta a mille invasioni e culture. Al loro posto tutti do¬ vevano essere deportati, spinti dalle baionette e dai dobermann della Seguritate in «moderni» falansteri, assiepati attorno alla sala riunioni, nuova chiesa dove celebrare ogni giorno i riti del Conducator e della sua Romania radiosa e socialista. Adesso i moncherini grigi e già cadenti di questi gulag intristiscono la campagna romena, e si specchiano nelle rovine delle vecchie case rase al suolo dalle ruspe. Follia? Delirio senile di un leader che sognava di poter dominare non solo l'anima dei sudditi, ma anche la natura. Il suo hobby era quello di un onnipotente scenografo hollywoodiano: trasferire i paesaggi e i monumenti, sradicandoli, e ricombinarli secondo i riti del suo cerimoniale bizantino e comunista. Nel museo di Bucarest, almeno fino a ieri, un intero piano era dedicato a raccogliere e esibire i regali che il Conducator riceveva da umili cittadini, ma anche dai grandi del mondo «libero» e comunista. Non sono soltanto scampoli del culto della personalità e degli obblighi della diplomazia. Questo settantunenne ex ciabattino che aveva pazientemente scalato tutta la carriera dell'apparatnik comunista ha saputo costruire e difendere contro la storia l'unica monarchia rossa dell'Occidente, disobbedendo a Breznev il conservatore e a Gobarciov il rivoluzionario, illudendo per vent'anni l'Occidente e facendosi perdonare metodi degni di Poi Fot. Tra le invenzioni del socialismo zarista di Ceausescu ci sono le camere di tortura mobili, camion attrezzati per torchiare subito i sospetti dissidenti. Ma la ferocia poliziesca era solo un'appendice di una spregiudicata tecnica del potere costruita a misura di un Paese passato senza soluzione di continuità dal feudalesimo teocratico al comunismo. Ceausescu sapeva che la Romania avava bisogno di idoli e allora si è costruito una mitologia dove si mescolavano le ingenuità dell'immaginario contadino e il culto della personalità stalinista. Parte fondamentale nel «grande fratello» romeno aveva, a fianco del Conducator sempre sorridente, bonario circondato da bambini e da operai osannanti, la «tovarasei», la moglie Elena sulle cui competenze scientifiche è stato costruito un identikit da Premio Nobel, e che aveva ricevuto in dono dallo Stato un centro di ricerca costruito a sua immagine. Erano loro le star ossessive delle tre ore di televisione che ogni giorno venivano concesse agli esausti romeni. Il culto della personalità come strumento di potere l'aveva imparato dal suo padre politico Gheorghiu Dej. Di suo aveva aggiunto un nepotismo portato quasi alla perfezione ma che gli copriva le spalle da eventuali tradimenti, sempre possibili nei corridoi del potere comunista. Perfino la squadra di calcio dello Steaua, il Milan romeno, era targata Ceausescu, affidata alle cure del figlio Nicu. Nel 1968 Ceausescu, nonostante la feroce autarchia economica e gli investimenti dissennati che avevano trasformato l'ex granaio d'Europa in un Paese affamato, era ancora per i suoi connazionali Nea Nicu, «zio Nicu»; ci sono voluti ben vent'anni di massacri e di disperazione per trasformarlo in Dracu «il diavolo». Domenico Quirico Il deposto «Conducator» romeno Nicolae Ceausescu con la moglie Elena

Luoghi citati: Bucarest, Europa, Filippine, Romania