Lazaroni: «Come invidio Sacchi»

Lazaroni: «Come invidio Sacchi» BRASILI Intervista al tecnico che ha dato alla spensierata Selegao una difesa di ferro Lazaroni: «Come invidio Sacchi» Presto in Italia: è già nelle mani della Samp ROTTERDAM DAL NOSTRO INVIATO «Ma come si fa a battere questo Brasile?» si chiedeva sgomento, mercoledì notte, il commissario tecnico inglese Robson. Era venuto a Rotterdam per seguire gli olandesi, suoi concorrenti nel girone mondiale di Cagliari. Ha visto invece un muro di gomma formato da undici maglie giallo-oro. Al quesito di mr. Robson si potrebbe rispondere nel modo più ovvio: i brasiliani si battono facendo dei gol. Replica ineccepibile, se non fosse per un particolare abbastanza importante: i gol si segnano tirando in porta, o almeno lanciando un pallone verso l'area avversaria. Due imprese che contro il Brasile attuale appaiono del tutto impossibili. Da quando Lazaroni ha compiuto la clamorosa rivoluzione, per il Brasile, di inserire un libero alle spalle della difesa, la Selegao ha cominciato a prendere gol con il contagocce. E nelle ultime cinque partite, fatto che forse non ha precedenti nella storia del calcio internazionale, l'unico tiro scagliato verso la porta brasiliana è quello che Taffarel ha parato (con una mano sola) a Carnevale nell'amichevole dell'autunno scorso a Bologna. Chi affronta il Brasile si consuma in un mortificante senso di impotenza. Le rare volte che qualcuno ha il coraggio di superare lo sbarramento di centrocampo, eludendo i tremendi tacchetti di Dunga, Valdo e Alemao, si trova davanti a cinque colossi che accarezzano con eguale sapienza e assoluta imparzialità il pallone e le gambe altrui. A trasformare la squadra più anarchica del mondo in una fabbrica di operai estrosi ma disciplinatissimi è stato un signore che non sa giocare a calcio. Gente così negata, in un Paese dove i bambini nascono con il pallone già attaccato al piede come una protesi naturale, è quasi impossibile trovarne. I pochi brocchi vengono spediti in porta, e tale fu il destino del piccolo Sebastao Barroso Lazaroni, venuto alla luce il 25 settembre 1950 sotto il cielo poco allegro di Minas Gerais, che in italiano significa «miniere generali». Sebastao, impegnato fin da bambino in una frenetica lotta contro l'appetito, non è mai arrivato a completare gli studi e pur di guadagnare qualche lira accettò di intraprendere la carriera di portiere, una delle poche per le quali in Brasile non ci sia concorrenza. Ma era scarso anche lì, e a trent'anni dovette appendere al chiodo i guanti del San Cristovao, squadretta di serie B e iniziare l'avventura di allenatore. Stando fra i pali, più che a parare, Lazaroni aveva imparato a pensare: «D'accordo, mi dicevo, io sono una schiappa. Però anche i miei compagni hanno un po' di colpa: possibile che gli avversari riescano sempre ad entrare in area con due passaggi? Per impedirglielo basterebbe così poco». Alla ricerca di quel «poco» Lazaroni ha dedicato i primi anni della sua professione di allenatore, illuminata da tre scudetti con Flamengo e Vasco da Gama e da un'escursione in Arabia Saudita. Un'escursione che fu bruscamente interrotta per un attacco di saudade e una certa insofferenza verso le distese di sabbia. Dopo le Olimpiadi di Seul, Lazaroni si trova al timone della Selegao, con il compito di vincere la Coppa America, in cui da quarant'anni i brasiliani prendono solenni bastonate. Gli esordi sono mediocri, persino un pareggio contro un Milan il cui giocatore più famoso era Lantignotti. Lazaroni, alla vigilia della Coppa, rischia di saltare: «Fu allora che mi decisi a giocare la carta della disperazione: un libero dietro la difesa». Il calcio brasiliano reagisce alla novità con la stessa compostezza di un tribunale dell Inquisizione. Ma da quel giorno la Selegao non ha perso più: «A me piacerebbe imitare Sacchi — spiega Lazaroni — ma per addestrare i miei al fuorigico dovrei poterli allenare tutti i giorni, come fa lui. Quindi mi accontento di organizzare la difesa nel modo più semplice. Primo, non prenderle. Tanto, con quei mostri che ho in attacco, un gol letto non manca mai». Il pragmatismo di Lazaroni non conosce debolezze. Domanda: «Se lei dovesse rifare una squadra da zero, quale sarebbe il suo primo acquisto: Falcao o Careca?». Beh, Ealcao, il regista... «Errore. Io prenderei Careca. Se ho un giocatore scarso in difesa o a centrocampo, posso farlo giocare bene grazie ai miei schemi. Ma se davanti ho uno che non la mette dentro, non c'è schema che gli insegni a fare gol». Le sue idee, i modi da manager berlusconiano e uno stipendio mortificato dalla costante svalutazione del cruzado ne fanno un predestinato a qualche panchina del calcio italiano. La Sampdoria si sarebbe già fatta avanti, strappandogli qualcosa in più di una promessa: «L'Italia mi attira. Paura delle critiche? Ma se in Brasile una volta mi hanno addirittura picchiato! I vostri giocatori mi piacciono ma uno solo di loro troverebbe posto nella mia nazionale: Franco Baresi». Il libero, guarda caso... Massimo Gramoli!ni