Csm, nostalgie di controriforma
Csm, nostalgie di controriforma r- MAGISTRATURA Csm, nostalgie di controriforma Si è svolto a Perugia — la scorsa settimana — il XX0 Congresso dell'Associazione nazionale magistrati. E' stato un congresso importante, perché ha consentito di mettere a fuoco i principali problemi che la giustizia dovrà affrontare nel 1990 e oltre. Vi è, innanzitutto, il problema della crisi profonda che sta attraversando l'indipendenza della magistratura, certo indebolita da fattori di logoramento interno, ma anche esposta ad insidie esterne. Che sono, in particolare, la rivincita di vari cèntri di potere e la minaccia di controriforme (specialmente relative al Csm). Sotto il primo aspetto, gli esempi che si potrebbero fare sono molti. Basterà ricordare Palermo, dove il ciclico riproporsi di polemiche ha portato al depotenziamento del «giudiziario», nel senso della progressiva erosione di quella nuova cultura ed articolazione del lavoro che avevano fatto intravedere come possibile una strategia di contrasto della mafia basata su una seria organizzazione. A Palermo si potrebbe aggiungere Bologna, dove (quale che sia l'opinione di ciascuno sul merito di questioni che sono ancora in corso di accertamento) sembra comunque in atto una terribile messa in scena. Il tutto, a Palermo come a Bologna, in nome di una presunta esigenza di recupero di neutralità della magistratura (che la «sovraesposizione» metterebbe a rischio), quando è evidente che dietro l'esigenza proclamata altre — e ben diverse — ve ne possono essere. Riguardanti, appunto, l'indipendenza della magistratura. Sotto il secondo aspetto, delle controriforme specialmente relative al Csm, non ci si deve stancare di ripetere che esse — nella migliore -delle ipotesi — sono un rimedio peggiore del male. Il sistema elettorale vigente (proporzionale con collegio unico nazionale) può essere migliorato sotto vari profili tecnici. Ma nella sostanza realizza un valore, di portata costituzionale, che non ammette zone grigie. Perché meno pluralismo significa meno «politica alta» (nel senso di confronto di posizioni ideali); e quindi più «politica bassa» (nel senso di clientelismo). Mentre le frantumazioni del collegio unico comportano una forte accentuazione del municipalismo. Il XX0 Congresso dell'Anni, nella mozione conclusiva, ha posto un forte accento sulla necessità di salvaguardare — in caso di revisione della legge elettorale del Csm — un «rispetto del risultato proporzionale che rifletta l'effettiva consistenza delle diverse componenti ideali». Si tratta, ora, di tenere davvero fermo questo principio. I Un'altra ragione che ha reI so il congresso di Perugia as¬ sai importante è l'attualità e drammaticità del tema del processo penale. Lo sfascio delle strutture è gravissimo. L'Associazione magistrati giustamente rileva come «Governo e Parlamento appaiano più preoccupati di scaricare l'uno sull'altro la responsabilità delle riconosciute inadempienze che non di operare concretamente. Qualcuno comincia a chiedersi se la situazione di sfascio sia davvero casuale o almeno in parte «costruita». Sia come sia, è ormai evidente che essa può innescare pericolosissime reazioni. Da un lato stanno riaffiorando (anche in magistratura) orientamenti contrari allo stesso impianto culturale del nuovo processo, orientamenti che nello sfascio trovano facile sponda per negare quelle forti potenzialità di progresso che il nuovo rito indubbiamente possiede. D'altro canto lo sfascio potrebbe far esplodere altre potenzialità, questa volta negative, che obiettivamente il nuovo sistema racchiude in sé. Nessuno lo vuole, d'accordo. Però il carattere di parte (processuale) del pm può riflettersi sulla non obbligatorietà dell'azione penale, Gno a porre il pm fuori della giurisdizione. Se il nuovo processo non funziona per mancanza di strutture, la risposta potrebbe arrivare (quasi per stato di necessità) su questo versante. Gravi sarebbero, però, i danni per la collettività, che si ritroverebbe con un pm controllato dal potere esecutivo e non più indipendente. Si ritroverebbe, cioè, con una giustizia meno eguale e meno giusta di quella attuale, pur insufficiente sotto molti profili. Ecco perché è importante che si abbia (insieme all'impegno della magistratura) una robusta presenza culturale dell'opinione pubblica su questi temi. Nel segno della rivendicazione dell'elementare esigenza che il controllo di legalità non resti circoscritto a quelle poche forme di criminalità che soltanto il caso (da intendersi come deficienza strutturale) consente volta a volta di perseguire, lasciando per contro prive di organico controllo di legalità materie di vitale interesse per tutti i cittadini. Ma anche nel segno (al primo inscindibilmente connesso) della rivendicazione del significato del Csm come sviluppatosi — negli Anni 70 — attraverso la sequenza di leggi e sentenze della Corte Costituzionale che lo hanno «democraticamente disegnato», contro la forma originaria del 1958. Tra i promotori della controriforma del Csm i nostalgici del «buon tempo antico» (gli Anni 50, appunto) non mancano. Quel che importa è che restino isolati e senza seguito. Gian Cario Caselli elli |
Persone citate: Gian Cario Caselli
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