American dream in carta patinata

Il Gft torinese ristampa in tre volumi il meglio di «Apparel Arts» Il Gft torinese ristampa in tre volumi il meglio di «Apparel Arts» American dream in carta patinata Dal crack del '29 nasceva una rivista di moda /STI TORINO I 'RANDE crisi, completi I gessati alla Al Capone, IT bionde platinate e tele[foni bianchi. L'America non è certo mai stata una stella luminosa nel firmamento del buon gusto. Non lo è stata e non 10 è neppur oggi, con le sue esasperazioni alla Dallas e la sua voglia di opulenza ad ogni costo. Eppure, è proprio lì e proprio negli anni della Depressione, che nasce la prima, grande, vera rivista di moda maschile. Apparel Arts esce per la prima volta in edicola a Chicago nel dicembre del 1931. Suo creatore, arteficie e stimolatore Arnold Gingrich, neppur trentenne ma con un vivace passato di pubblicitario presso un magazzino d'abiti. La rivista è una sfida alla Depressione e Gingrich la sintetizza in una sola, folgorante frase posta in apertura del primo numero: «Fin che c'è vita c'è speranza». Apparel Arts rivive oggi, dopo cinquant'otto anni, grazie al Gft (la casa torinese da qualche anno tornata prepotentemente ai vertici della moda), che ha riunito in tre volumi, arricchiti di saggi critici, una bella selezione di articoli ed immagini tratti da dieci anni di pubblicazioni. E quello che colpisce soprattutto il lettore dei giorni nostri (i libri editi dall'Electa saranno in vendita a febbraio) è la modernità della grafica, la ricchezzza di idee, l'innovazione della pubblicità. Ancora una testimonianza di come l'America fosse negli Anni Trenta un enorme laboratorio di invenzioni e sperimentazioni. Come poteva una rivista di moda, soprattutto maschile, sopravvivere in una America messa in ginocchio dal crack del 1929? Se dal 1850 al 1925 la linea degli abiti da uomo era pressoché rimasta uguale, come scrive Bruce Boyer in uno dei saggi critici, in quegli anni poi gli scaffali dei negozi rigurgitavano di pezzi invenduti. La maggior parte della gente, impegnata a cercare di combinare 11 pranzo con la cena, non si dedicava certo allo shopping. Ed ecco la grande idea di Gingrich e soci: se il denaro era più prezioso, perché scarso, i prodotti dovevano diventare migliori, o almeno più desiderabili. Si doveva quindi riorganizzare il sistema delle vendite e soprattutto la stessa «immagine» dei prodotti, attraverso forme nuove di comunicazione. Apparel Arts fa suo questo compito e in poco tempo si pone quale punto di riferimento per negozianti e consumatori. Ai primi spiega come presentare i prodotti, come rendere più appetibili le vetrine; insegna come riconoscere i tessuti di buona qualità pubblicando vere e proprie lezioni dai campi ai telai; ma soprattutto — sopraffino colpo di genio — rivela l'importanza della psicologia e della pubblicità per catturare i clienti. E' su questa rivista che compaiono i primi sondaggi di mercato, i calcoli sul ritorno degli investimenti, i primi riscontri degli annunci pubblicitari. Ai secondi, insegna ad apprezzare le cose di buona qualità, li dirige e li plasma verso certe tendenze. La pubblicità è l'anima della rivista. Ed è curioso scoprire in questi tre volumi, com'erano i messaggi. Se oggi siamo abituati a frasi sibilline e a spot che durano un attimo, all'epoca invece le parole non si risparmiavano: il prodotto pubblicizzato era spiegato e sezionato, nulla doveva rimanere all'immaginazione. L'immagine a tutta pagina, colorata e raffinata, non poteva poi non venire memorizzata dagli interessati. Uomini in abito da sera, sportivo, in costume da bagno o in pigiama, ammiccano, sempre sani e belli, dai figurini colorati delle pagine patinate. Non estraneo a questo successo era infatti anche il desiderio di salute e di sole, nato nelle umide e fredde trincee europee della prima guerra mondiale. Dice Bruce Boyer: «Negli anni fra le due guerre nacque così una sorta di eliofilia, diremmo quasi un nuovo culto per il sole. I medici avevano decretato che i bagni di sole erano il miglior rimedio per molte malattie indotte da carenze vitaminiche». Gli americani così si dedicarono con enfasi agli sport all'aria aperta e questi presto si trasformarono in occasioni mondane. Logico che sport e aspetto sano si ripercuotessero sul guardaroba maschile. Accanto all'abito da giorno in pettinato grigio comparvero così negli armadi pantaloni alla zuava, maglie da tennis, scarpe da golf, berretti e guanti da guida, pantaloni in flanella bianca e blazer blu marino. Voilà, il gioco era fatto. L'immagine dell'uomo sano, perfettamente inserito nell'americon dream, era creata. La pubblicità aveva dimostrato la sua forza: basta far vedere alla gente che cosa vorrebbe essere per aprire la corsa. Per dieci anni, appunto in quel periodo cruciale che abbraccia tutti gli Anni Trenta e fino alla seconda guerra mondiale, Apparel Arts per la moda americana fu guida e specchietto per le allodole. Le resta certamente il merito ancor oggi di essere straordinariamente moderna e di aver divulgato alla massa quel piacere di vestirsi che fino ad allora era una questione d'elite. Ma paradossalmente fu proprio il successo di quanto aveva sempre propagandato e il ritorno del denaro a decretarne la fine. Infatti fu quando gli industriali capirono l'importanza della pubblicità e iniziarono a farsela da sé e l'America, dopo il secondo conflitto mondiale, mise definitivamente da parte lo spettro della crisi, che la necessità di Apparel Arts iniziò a sbiadire, finché nel 1957 fu assorbita dalla rivista Esquire e cessò di esistere come testata autonoma. Fu una fine in sordina, decretata dai tempi e dal successo di quel «sogno americano» imposto anche per mezzo di una scarpa bicolore. Tiziana Longo L'uomo americano Anni Trenta scopre la moda: eccolo in tenuta da spiaggia

Persone citate: Al Capone, Arnold Gingrich, Bruce Boyer, Gingrich, Tiziana Longo

Luoghi citati: America, Chicago, Torino