Mafia, criminalità e orrore

Mannoia: «Non esistono uomini d'onore buoni, sono tutti spietati» Mannoia: «Non esistono uomini d'onore buoni, sono tutti spietati» Mafia, criminalità e orrore Boss assolti dai giudici minacciati ROMA. Dai giardini di Maredolce e Brancaccio, da sotto i piloni dell'autostrada per Catania, alla periferia Sud di Palermo, le ruspe hanno tirato fuori le prime conferme agli orrori minuziosamente descritti da Francesco Marino Mannoia, meglio conosciuto col nomignolo di «Mozzarella». E mentre si strappa il velo dal «cimitero della mafia», nella casa di un insospettabile si trovano documenti che, giurano gli investigatori, serviranno a completare il quadro finora dipinto dal pentito. Non è soltanto uno spaccato circoscritto al mondo di Cosa Nostra, il racconto di Mannoia. Leggendo tra le righe, inseguendo il significato di parole e gesti, si può arrivare a intravedere un orizzonte più vasto, quello che gli stessi giudici e investigatori definiscono «una buona fetta di società palermitana». La contabilità della morte, che «Mozzarella» elenca con pignoleria da ragioniere, contiene, al di là delle notizie nude e crude, gli elementi per la ricomposizione di un puzzle, di un contesto inquietante. Mannoia, a differenza di altri pentiti, non difende nessuno, oltre che se stesso. I parenti glieli hanno uccisi; anche quel fratello, Agostino, autore di malefatte «delle quali parlerò, pur essendo addolorato nel dover riferire fatti che certamente non fanno onore alla sua memoria». Per questo suo andare avanti «senza remore», la confessione di «Mozzarella» costituisce un documento che «supera» quello a suo tempo offerto dallo «storico» Buscetta. E' più aggiornato, abbatte miti che lo stesso «don Masino» non aveva intaccato. Per esempio, quello della mafia buona che non uccide e non «trattar» l'eroina. Campione di questa categoria era stato ritenuto Stefano Bontade, il «principe di Villagrazia», capo della «famiglia» di Santa Maria del Gesù, ucciso nel 1981. «Niente vero. Don Stefano era esattamente come gli altri. Finiamola con queste sciocchezze: uccideva e si arricchiva con la droga». Parola di «Mozzarella», che di Bontade era stato angelo custode e «soldato». Qualche esempio? Un ladruncolo che lo aveva deriso per via della faccia gonfia «fu portato da Stefano Bontade che lo strangolò». Sorte analoga per un rapinatore che dava fastidio nel quartiere; in quel caso il commento del «principe» fu: «Ordinaria amministrazione». E frate Giacinto, il francescano ucciso nella sua «cella» dentro il convento del cimitero di Santa Maria del Gesù? «Mozzarella» chiede e Bontade spiega: «Era un puttaniere». Al giudice, Mannoia aggiungerà: «In passato aveva dato rifugio a latitanti di Cosa Nostra, ma da tempo non ci servivamo più di quel convento». Le donne non si toccano? Altra favola. Dice Mannoia che Giovanna Ragona, 19 anni,'ex moglie di un carabiniere, trovata morta con un proiettile in testa, non si è uccisa, come si cercò di far credere. A farla fuori fu un «uomo d'onore» prima accettato e poi respinto. Un capitolo a parte meritano i processi. A Palermo è difficile sfuggire alle pressioni- della mafia. Come per i commercianti e gli industriali, braccati e «spremuti», esiste un ferreo controllo per i giudici popolari. Forse negli omissis il procuratore aggiunto Giovanni Falcone ha raccolto di più, ma già quello che si sa è gravissimo. Intimiditi i giurati di molti processi. Sospetta l'assoluzione di Francesco Bonura, imprenditore palermitano, accusato di duplice omicidio. Dice Mannoia che in carcere il costruttore gli confidò che «c'erano buone possibilità di farla franca perché i suoi stavano interessandosi per avvicinare tutti o alcuni dei membri della giuria popolare, ma che c'erano problemi per il presidente Maurigi che era orientato nettamente per la sua colpevolezza». Successivamente «Mozzarella» incontra Bonura, libero ed assolto: «Raggiante mi diceva che la sua salvezza era stata la giuria popolare perché quel cornuto del presidente Maurigi voleva condannarlo a qualunque costo». Così la piovra controlla la città, il territorio, centimetro per centimetro. Decide tutto e per tutti ncato nella camera d'alb Francesco La Licata Si continua a scavare nelle borgate agrumarie di Palermo. Le ruspe della polizia hanno tirato fuori le prime ossa «di molti anni fa» ha precisato uno degli investigatori. I resti umani hanno riempito una scatola di cartone e sono ora all'esame dell'Istituto di medicina legale dell'Università. Potrebbero appartenere a Giuseppe Di Marco, punito per aver ucciso un suo fratello. La polizia è venuta anche in possesso di una parte della contabilità di alcune cosche di Palermo Ovest. Il libro mastro ha copertina in fibra nera, fogli a quadretti con righe rosse laterali. Vi sono riportati gli incassi del racket delle estorsioni, il filone più redditizio subito dopo quello della droga. Ma vi sono anche nomi di avvocati che hanno ricevuto parcelle di decine di milioni. E nomi di ingegneri, notai, altri professionisti persuasi a pagare molto cara la «protezione». Nel registro è riportato il nominativo di un penalista che aveva ricevuto 30 milioni da un «soldato» per difendere alcuni imputati. Erano soldi di Filippo Marchese, il boss di corso dei Mille che aveva impiantato una «camera della morte» nella quale faceva torturare e uccidere gli avversari e che nel 1982 fu anch'egli inghiottito dalla «lupara bianca». Quando il «soldato» gli chiese altri 50 milioni per fare corrompere non si sa bene chi, Marchese glieli rifiutò, ma dovette versarli su ordine di Stefano Bontate. Chi fu corrotto con quei 50 milioni? II contabile ha anche riportato le somme versate ai famigliari di detenuti, confermando quanto si sapeva da gran tempo: la mafia fa tutto il possibile per assicurare un sostegno finanziario ai congiunti dei suoi elementi più «fidati» arrestati o latitanti. Marino Mannoia ad esempio ha dichiarato che anche sua moglie, Rosa Vernengo, incassa da tempo 1 milione al mese. Scrupoloso, attento, il contabile presumibilmente è uno dei 15 arrestati dalla polizia durante l'operazione che l'altro giorno è scattata dopo le rivelazioni del nuovo pentito. Ha segnato con piccole X i mesi con i pagamenti effettuati, ha spuntato a penna le somme incassate dal racket. Un commerciante ha pagato anche 7 milioni e mezzo il mese pur di essere lasciato in pace e di non fare la stessa fine dei fratelli Gange, proprietari di una cereria incendiata cinque anni fa, ricostruita con 3 miliardi stanziati con legge regionale e nuovamente distrutta I dai mafiosi due mesi fa. [a. r.] Agenti di polizia impegnati nelle ricerche di vittime della lupara bianca Gli incassi del racket

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