La crisi etnica fa insorgere un Paese già stremato di Enrico Benedetto

Il detonatore è la Transilvania Il detonatore è la Transilvania La crisi etnica fa insorgere un Paese già stremato Dal sogno all'incubo. Con la strage in piazza di Timisoara, Céausescu ha calato la maschera: dietro il «socialismo vittorioso» delle autocelebrazioni spunta Un regime truculento che lo «Stalin dei Carpazi» modella a sua capriccio. Non stupiscono più, allora, i «complimenti» fatti in maggio a Deng dal leader romeno per aver soffocato la «contro-rivoluzione» sulla Tienanmen. Un precedente, a dire il vero, esisteva. Il 15 novembre '87, una «rivolta del pane» sconvolse Brasov. La gente, una folla, assaltò il palazzo che ospitava il pc locale: nei magazzini erano ammassati quintali di viveri mentre i cittadini erano alla fame. Intervenne l'esercito armi in pugno. I morti, pare, furono decine, ma Bucarest non ha mai voluto riconoscerlo ufficialmente. Allora, tuttavia, il regime ebbe buon gioco a far passare la protesta come un'intemperanza collettiva giustificata da «errori gestionali»: per dare l'esempio bastò silurare qualche dirigente che imboscava derrate. A Timisoara, invece, lo scontro è politico. I romeni non hanno chiesto farina (il regime ne assegna un chilo prò capite al mese) o gasolio per scaldare case ogni giorno più invivibili (tutti i combustibili sono razionati) ma libertà. Non solo: Brasov era persa tra i monti che sovrastano la Valacchia, Timisoara guarda il confine jugoslavo e sorge a una cinquantina di chilometri dalla frontiera ungherese. Si tratta, insomma, della prima «rivolta transilvana» da quando a Bucarest regna Céausescu. Il pastore calvinista Laszlo Toekes — alla cui deportazione la folla ha osato opporsi — rivela fin dal nome l'origine magiara. In lui parlano i 2,7 milioni di «ungheresi etnici» che nemmeno la vessatoria politica del regime — carcere, inurbamento e assimilazioni forzate — ha saputo «normalizzare». Negli ultimi anni, le «dispozitii» governative hanno infatti chiuso a decine scuole, associazioni, teatri. Un «genocidio culturale» compiuto in nome della «romenità» e difeso con speciose argomentazioni storiche: il regi- me trasfigurava il conflitto nell'«epica lotta» fra i «civilissimi daci» e le «barbare tribù» del sovrano magiaro Arpad. Mai, tuttavia, Céausescu sarebbe riuscito a intraprendere questa battaglia senza aizzare un diffuso sentimento magiaro fobo. Nei suoi proclami, gli ungheresi sono allora divenuti pericolosi «filo-horthysti» (dal reggente legato all'Asse), e i transilvani quintecolonne dell'espansionismo magiaro cui veniva impedito per legge di ospitare parenti d'oltreconfine. Le fughe in massa verso Budapest — da alcuni pastori con 400 pecore all'ex star Nadia Comaneci — hanno inasprito lo scontro fino alla soglia della rottura diplomatica. Il Patto di Varsavia, sino a quest'autunno, aveva tenuto una posizione equidistante, ma poi anche la Germania Est è parsa scaricare l'imperialismo etnico romeno. Così, nell'ultima assise del pc, Céausescu ha tolto dalla naftalina la «questione moldava» — i territori ceduti all'Urss secondo i protocolli segreti dell'accordo Ribbentrop-Molotov — ricattando Gorbaciov. Il messaggio era chiaro: se «interferite», riapriamo la disputa sui confini. Mosca ha preferito, momentaneamente, defilarsi. Ora, però, ha nuovi argomenti per rinnovare le pressioni anti-staliniste, magari difendendo padre Toekes. Il pastore non appartiene alla ligia Chiesa Ortodossa: rappresenta lo zoccolo irriducibile degli 800 mila evangelici romeni, luterani radicati nella diaspora sassone e calvinisti d'importazione magiara. Insomma, un grande dissidente religioso, come quelli — ormai scomparsi in Urss — cui ci aveva abituati il breznevismo. Il regime ha voluto schiacciarlo come un «figlio di Avram Iancu» — così vengono ironicamente defiti i transilvani, dal loro principale leader irredentista — salvo ritrovarsi migliaia di romeni etnici ad affrontare per lui i fucili dell'esercito: «daci» e magiari, miracolosamente uniti, ora volgono il pugno contro il «divide et impera» del Conducator. Enrico Benedetto

Persone citate: Arpad, Avram Iancu, Gorbaciov, Laszlo Toekes, Nadia Comaneci, Ribbentrop, Stalin, Toekes

Luoghi citati: Bucarest, Budapest, Germania Est, Mosca, Timisoara, Urss