«Un Paese di corrotti» di M. T.

«Un Paese di corrotti» Editoriale di Civiltà Cattolica sulla questione morale «Un Paese di corrotti» Il periodico dei gesuiti: «Furbi e disonesti hanno sempre la meglio» In Italia i dipendenti pubblici «lavorano al massimo 3 ore al giorno» CITTA' DEL VATICANO. Il Paese è marcio, i cittadini sono corrotti. La «questione morale» tocca non solo il vertice, ma anche la base della piramide: questa è la conclusione drammatica e sconsolata di un severissimo editoriale de «La Civiltà Cattolica». Il degrado non consiste solo nei grandi scandali. Anche gli assenteisti, gli statali che non lavorano abbastanza, gli evasori fiscali, i magistrati divisi in lotte di potere o politiche, oltre naturalmente alla criminalità, e ai partiti, «potenti apparati clientelari e affaristici», sommandosi e intrecciandosi fra loro «creano un clima di corruzione che tende a divenire sempre più generale e pesante, rendendo così la vita sociale difficilmente vivibile. Non è facile, in realtà, vivere in una società in cui non vanno avanti i migliori e più capaci, ma i furbi e i corrotti». I comportamenti disonesti «si sono generalizzati fino a diventare comuni e abituali», scrive la prestigiosa rivista dei gesuiti, i cui editoriali sono normalmente «visti» dalla Segretria di Stato. Ma c'è un altro aspetto che rende grave la «questione morale»: questi modi di agire «sono divenuti "normali" tanto da non destare più meraviglia, né rivolta della coscienza morale». La gente sa che si tratta di azioni moralmente riprovevoli, ma le «giustifica, affermando che in una società di ladri, furbi e imbroglioni qual è l'attuale non ci si può comportare onestamente senza esser messi da parte o sorpassati da altri». Delinquenza organizzata, corruzione, uso disonesto del potere politico sono ai primi posti. «Ma ci sono altre forme di frodare lo Stato che entrano anch'esse nella questione morale». La prima è l'evasione fiscale, favorita dall'incapacità dei pubblici poteri. «Una seconda maniera comune è percepire dallo Stato somme di denaro e stipendi per servizi non prestati affatto o non prestati nella misura e nei modi stabiliti». La rivista parla dell'assenteismo, nella sua doppia espressione: quando non si va al lavoro e «quando si è presenti materialmente sul luogo di lavoro, ma in realtà, invece di lavorare, si legge il giornale, si fa la spesa». «Il fatto curioso è che non sono molti coloro che avvertono la profonda immoralità di questi comportamenti», annotano i gesuiti, ricordando che tutti si indignano per gli scandali di grandi proporzioni, ma non si sentono «in colpa per non aver pagato le tasse, aver percepito emolumenti non dovuti, aver fatto ingiustificate assenze dal lavoro». Ma i grandi scandali maturano «in un clima di generale rilassamento morale». Un girone a parte è riservato al pubblico impiego. Se i servizi pubblici sono inefficienti, «nonostante l'immenso fiume di denaro speso» per tenerli in piedi, «la ragione vera è che molti di coloro che lavorano nella pubblica amministrazione non compiono il loro dovere». Assenze ingiustificate e scarso impegno: «il lavoro dei pubblici dipendenti non supera le 3 ore al giorno». [m. t.]

Luoghi citati: Citta' Del Vaticano, Italia