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VIDEOMACCHINA VIDEOMACCHINA I rischi di occhi artificiali troppo potenti Un saggio di Virilio, urbanista e sociologo CIA' esiste la pennacalcolatrice (che fornisce il risultato di un'operazione mentre ne scrive i dati); a quando la penna lettrice (cioè una penna che, grazie al sistema ottico che ha nel suo corpo, nello stesso momento in cui allinea le lettere una dietro l'altra, visualizza, sul piccolo schermo che ingloba, le impressioni della lettura)? Questa è la domanda paradossale che Paul Virilio formula a chiusura de «La macchina che vede». Ma, si chiede, paradossale è la domanda o la logica che ormai governa il mondo? Paul Virilio è un urbanista, e non a caso, giacché nulla meglio della riflessione sull'idea di città consente di cogliere alcune verità capitali sul funzionamento della vita oggi. Per esempio ci rendiamo conto, scrive Virilio, che «la moltiplicazione e la velocizzazione dei mezzi di trasporto ci fa correre il rischio di perdere il possesso della casa a favore del possesso del tragitto»? Cioè che con la speditezza degli spostamenti è entrato in crisi «il concetto di proprietà ma non tanto nel senso capitalistico del termine ma nel senso di essere a casa propria, di essere nell'intimità»? Una volta ogni spostamento comportava (e si svolgeva in) tre momenti: la partenza, il viaggio e l'arrivo. Poi con la introduzione del treno e soprattutto dell'aereo i tre momenti sono diventati due: la partenza e l'arrivo. Oggi «con la rivoluzione delle trasmissioni, con la televisione e la teletrasmissione, tutto arriva senza che sia necessario partire né viaggiare». Non è lontano il giorno in cui «lo spazio-tempo del mondo non sarà più niente perché noi avremo perso l'estensione e la durata del mondo a causa della velocità». Per Paul Virilio la velocità non è tanto un fenomeno quanto la relazione tra fenomeni; la velocità è un concetto, altrettanto «importante del Principio di Relatività» con il quale in fondo coincide. Questo principio ha governato tutti i grandi avvenimenti che hanno marcato il secolo che stiamo vivendo (e óra sta per scadere). Ricordate l'ultima grande guerra? Allora i tedeschi in poche settimane occuparono la Francia. «Se i carri armati arrivarono tanto rapidamente a Parigi», scrive Virilio, «non è perché i francesi non si sono battuti, ma perché i tedeschi, grazie alla velocità dei loro panzer, hanno potuto evitare di battersi e sono passati at- traverso come l'acqua che filtra e monta in cantina malgrado tutte le porte siano chiuse». E non per caso quella guerra fu chiamata Blitzkrieg. E oggi che — è il grido d'allarme di Virilio — la Velocità non è più quella del carro armato e dell'aviazione d'assalto, ma è la velocità dei missili e del laser, oggi che le armi vanno più veloci della velocità di decisione degli uomini, che guerra (se mai potrà esserci) dovremo aspettarci? La velocità — a ben vedere — già è stata al centro degli interessi delle avanguardie artistiche dei primi del Novecento. I futuristi in particolare ne hanno esaltato il valore di idea, di principio costitutivo della realtà e decretato, per conseguenza, la credibilità dell'apparenza (dell'oggettività) delle cose. Nel contempo, e a sostegno, il cubismo inaugura una estetica della sparizione, propiziata dalla constatazione che la partecipazione e dunque l'immagine della realtà, garantita dall'uso di tecniche d'indagine via via più sofisticate, si allontanava sempre più dalla rappresentazione che di essa fino allora si era soliti dare. Tra arte e scienza si stabilisce, in quei decenni, un intenso rapporto di scambio, foriero di novità sconvolgenti, oltre che per i due protagonisti dello scambio, per la vita stessa dell'uomo. Se i contorni non definiscono più le cose e l'apparenza è un inganno, allora lo sguardo dell'uomo non è più affidabile e il dovere di vedere passa alla macchina, di cui è possibile progettare una potenza di visione sempre più acuta. Certo a progettare è sempre l'uomo il quale, tuttavia, senza radersene conto, compie l'imprudenza di dar vita a un qualcosa di così grande che alla fine gli sfugge (e non può che sfuggir- gli) di mano. Accade che la macchina progettata con lo scopo di servire all'uomo per vedere, finisce per acquistare un'autonomia di funzionamento e decide di vedere al posto dell'uomo. Ed è qui che il discorso, fin qui coerente e necessario, devia verso il paradosso, cioè avanza obbedendo a uno schema logico non più prevedibile. Ma se non possiamo prevedere, e proprio perché non possiamo prevedere abbiamo il dovere di sapere. Per esempio di sapere che per la macchina che vede, ingannare è più importante che convincere, fingere di esistere più importante di esistere, la notizia più importante del fatto (anzi è la notizia che crea il fatto). Volete una prova?, scrive Virilio. Ciò che è accaduto nella Piazza Tienanmen avrebbe avuto lo stesso svolgimento se non ci fosse stata la televisione e, comunque, l'importanza di ciò che è accaduto a Tienanmen è tutta nei fatti (e misfatti) che 11 succedettero o nelle immagini che quei fatti (e misfatti) furono diffuse e raggiunsero l'intero mondo? La vera forza della macchina che vede non sta in ciò che fa ma in ciò che minaccia di fare, non è in ciò che vede ma in ciò che dice di vedere, non è in ciò che afferma ma in ciò che nasconde. La macchina che vede non è una testimonianza, è un avvertiménto; non è una prova, è un'intimidazione. Allora tenerla in sospetto è solo una doverosa prudenza. Angelo Guglielmi Paul Virilio La macchina che vede SugarCo pp. 195, L. 20.000 Paul Vii-ìlio urbanista e sociologo esa nina come le nuove tea lologie elettroniche sta ino cambiando il nostro modo di vedere

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