Niente ricovero, morì di aborto
Niente ricovero, morì di aborto La donna si sottopose all'ecografìa che rivelò la presenza di un feto senza vita Niente ricovero, morì di aborto Accuse a un ginecologo obiettore di Corleone PALERMO DAL NOSTRO CORRISPONDENTE La donna morta dopo aver tentato di abortire bevendo un intruglio di prezzemolo forse poteva essere salvata. Maria Mannina, 36 anni, madre di tre figli, dopo aver tenuto nascosta per 18 settimane la sua gravidanza, si era rivolta ad un medico e aveva accettato di fare un'ecografìa. L'esame aveva rivelato che il bimbo che portava in grembo era morto. Ma nonostante questo non era stata ricoverata. Il medico che l'ha visitata, il dottor Francesco Fomilla, è un obiettore di coscienza dell'ospedale «dei bianchi» di Corleone. Su di lui ora grava un pesante sospetto, sul quale indaga la Procura di Palermo: quello di non aver ricoverato una gestante in gravi condizioni. Il medico si difende sostenendo che Maria Mannina «era sottosposta a cure antibiotiche, ordinate dal suo medico curante "-per combattere uuno stato febbrile» e che queste cure erano più importanti rispetto «alla presenza di un feto morto da alcune ore, fatto che non creava problemi». Quindi non ricoverò la donna che portava in grembo una creatura ormai avvelenata dall'infuso di prezzemolo e che a sua volta sarebbe morta di lì a poche ore. Ora tocca all'inchiesta accertare perché il medico non dispose il ricovero della donna con febbre alta e visibilmente grave. «Un feto morto da poche ore non crea problemi», ripete il dottor Pornili a, che quasi certamente riceverà una comunicazione di garanzia dalla procura della Repubblica. I carabinieri della compagnia di Corleone, dopo avere interrogato numerose persone, compreso il marito della donna, che tra l'altro ha negato che la moglie abbia bevuto l'infuso, hanno deciso di non procedere a una formale denuncia del medico per «omesso ricovero», ma di segnalare la vicenda alla magistratura. La sera stessa, Maria Mannina era stata nuovamente accompagnata in ospedale. Le sue condizioni di salute erano subi¬ to apparse gravi. Il primario di ostetricia, Domenico Roccapalumba, informato del caso particolarmente delicato, aveva deciso che la donna venisse ricoverata in sala operatoria. Qui Maria Mannina aveva avuto un aborto spontaneo con forte emorragia. Ma le sue condizioni peggioravano. Trasferita subito dopo nel più attrezzato ospedale di «Villa Sophia» a Palermo moriva il giorno dopo. Il referto parlava di coagulopatia intravasale: il sangue, in pratica, aveva perso la capacità di coagularsi a causa dell'avvelenamento provocato dalla massiccia ingestione del prezzemolo, secondo una pratica usata fin dal Medio Evo quando si voleva abortire. Sono «stregone¬ rie» d'una volta non del tutto tramontate a Corleone come in altre zone del Sud. Nel paese però gli otto medici del reparto sono tutti obiettori e nell'ospedale «dei bianchi» non praticano aborti. Maria Mannina, moglie del titolare di un'avviata officina meccanica, con tre figli fra i 14 e i 5 anni, avrebbe comunque potuto affidarsi senza problemi ai medici dell'ospedale di Palazzo Adriano, distante solo 20 chilometri, o a quelli degli ospedali di Palermo a 70 chilometri. Nunzio Vernagallo, coetaneo della moglie, ha continuato a escludere che la donna avesse preso l'intruglio: «Quel bambino lo voleva, eccome!», ripete tuttora convinto, anche se i fatti sem¬ brano smentire la sua versione. Anche le donne comuniste sostengono che «Maria Mannina, ufficialmente morta di aborto clandestino, è morta invece di solitudine e per mancanza di solidarietà». Il primario di ostetricia dell'ospedale corleonese, il dottor Roccapalumba, subito dopo la notizia della morte di Maria Mannina, aveva detto che i medici si erano prodigati non appena la donna era giunta m ospedale, scossa da fremiti, con febbra altissima, deficienza renale e grave insufficienza epatica, ma non aveva accennato ad una prima visita del dottor Pomilla. «I parenti hanno negato—ha detto il primario — ma la grave forma di avvelenamento probabilmente era stata causata proprio dal metodo del prezzemolo ancora usato da queste parti. Non si spiega altrimenti il fatto che la donna, nelle 18 settimane di gravidanza, non si fosse mai fatta visitare da un medico. In venticinque anni di professione purtroppo mi sono trovato diverse volte davanti a casi del genere». I carabinieri intanto hanno avviato un rapporto alla procura della Repubblica sull'operato del dottor Pomilla. Forse aiuterà a far chiarezza sulla vicenda anche l'esito dell'autopsia che sarà reso noto fra cinquanta giorni. Antonio Ravidà
Luoghi citati: Corleone, Palermo, Roccapalumba
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