Addio al Babbo Natale di Stato di Andrea Di Robilant

Addio al Babbo Natale di Stato I sociologi: le aziende hanno capito che per l'immagine è meglio la beneficenza Addio al Babbo Natale di Stato Nessun dono quest'anno da Ferrovie, Efim e Rai ROMA. La stella che ha brillato in questi anni sull'«omaggistica di Natale» non è più così fulgida: alle aziende, specie quelle pubbliche, piace sempre meno mandare doni a fine anno. Il presidente dell'Efim, Rolando Valiani, ha deciso che il suo gruppo non farà più regali. Mano Schimberni, presidente delle Ferrovie dello Stato, ha detto ai suoi dirigenti di limitarsi a mandare «biglietti d'auguri». La Finmeccanica di Fabiano Fabiani, invece dei regali, terrà un concerto ad invito con musica di Mozart e Chaikovskij. E perfino la Rai di Biagio Agnes ha stretto i cordoni della borsa natalizia: quest'anno solo «piccoli pensieri». Perché l'omaggistica, dopo un decennio di espansione «a spirale», adesso entra in crisi? Perché le aziende sono arrivate alla conclusione che intasare il sistema postale con migliaia di pacchi e pacchettini e coprire di costosi regali i politici, i giornalisti e i clienti importanti, non giova più alla loro immagine. Specie quando le aziende sono pubbliche e hanno la reputazione di essere inefficienti e spendaccione. «Le società di relazioni pubbliche hanno ormai lanciato la parola d'ordine», dice il sociologo Antonio Longo, direttore della ricerca all'Ispes. «Lasciate perdere i regali di Natale, dicono, perché possono avere l'effetto di un boomerang. La gente non è più disposta ad accettare una gestione schizofrenica dell'immagine — bilanci in rosso ma regali di lusso — da parte delle aziende pubbliche». Dalla fine degli Anni Settanta ad oggi, il boom dell'omaggistica ha generato una miriade di ditte grandi e piccole, specializzate nel trovare «il regalo giusto». Il giro d'affari ha raggiunto le centinaia di miliardi all'anno. E' un'industria — spiega Longo — fiorita grazie all'edonismo di questi anni. «La gente ha fatto una vera e propria scorpacciata di apparenze, si è abituata ad apprezzare di più l'aspetto esterno e superficiale delle cose rispetto al contenuto. Ma ora che ha soddisfatto i bisogni primari, non si lascia più incantare». La rinuncia ai regali di Natale, secondo un altro sociologo, Domenico De Masi, «è un guizzo d'intelligenza in un mare di scellerataggine». La tradizione dei doni aveva portato al moltiplicarsi di tanti piccoli centri di potere. «Anche l'ultima segretaria aveva la sua mini-lobby per l'acquisto di tre o quattro omaggi». Ma che fare, in alternativa ai regali? AU'Efim, per esempio, eli strateghi dell'immagine hanno deciso che il gruppo deve dimostrare «più sensibilità e partecipazione alla vita collettiva». Invece delle litografie, delle sculture e delle altre rappresentazioni artistiche che rega¬ lava ogni anno, per un valore complessivo che osculava tra i centocinquanta e i duecento milioni, il gruppo donerà ad un ospedale un costoso apparecchio per il trattamento del cancro. «Con l'aria che tira — Aids, tremila tragedie, il buco nell'ozono — abbiamo deciso che era meglio lasciar perdere i regali a favore di un'opera di beneficenza», spiega Edoardo Voltano, responsabile del settore omaggistica alla Efim servizi. Ma l'operazione non è senza rischi: può sembrare una mossa provocatoria, ostentata, al limite anche presuntuosa. Ma in questo modo il gruppo spera di «instaurare un nuovo rapporto tra industria e società», Alle Ferrovie della Stato, invece, non c'è una vera strategia dietro alla decisione di rinunciare ai regali. Ma è quasi una tradizione: già l'anno scorso, Schimberni, appena nominato amministratore straordinario, decise che non sarebbero stati mandati nemmeno i regali che l'azienda aveva acquistato prima del suo arrivo e che ancora giacevano in magazzino. «C'era un clima scandalistico intorno al dissesto delle Ferrovie», ricorda il capo ufficio stampa Carlo Gregoretti. «E Schimberni decise che non era proprio il caso di mandare migliaia di regali». Con un buco annuale di quindicimila miliardi, non si poteva pensare nemmeno a un'opera di beneficenza. E Biagio Agnes, accusato di aver gestito la Rai con manica larga, ha lasciato in eredità all'azienda una direttiva all'insegna dell'austerità: nel quadro di contenimento generale dei costi, ha incluso anche le spese per l'omaggistica. «Non abbiamo fatto tagli all'elenco della gente che deve ricevere un regalo», dicono all'ufficio stampa. Ma invece del tradizionale cofanetto di cassette o video-cassette, la Rai si limiterà a quello che in azienda chiamano pudicamente «un pensiero». Che cosa sarà? E' un segreto. «Altrimenti — dicono — non sarebbe una sorpresa». Andrea di Robilant

Luoghi citati: Roma