Diario di viaggio nell'lntifada di F. A.

Diario di viaggio nell'lntifada ISRAILE Lo scrittore Grossman tra i ribelli Diario di viaggio nell'lntifada TEL AVIV NOSTRO SERVIZIO Nel villaggio di Arabe, presso Jenin, il dodicenne Nidal Arrade è divenuto improvvisamente un eroe locale quando il mese scorso un proiettile vagante sparato da soldati israeliani lo ha colpito a una gamba. Allo scrittore israeliano che viene a visitarlo all'ospedale «Ittihad» di Nablus l'eroe suo malgrado confessa: «Più che altro mi manca la bicicletta; era il mio svago preferito». Nel suo secondo reportage sui territori occupati, pubblicato ieri sul diffuso quotidiano Yediot Ahronot in occasione dell'inizio del terzo anno di rivolta e intitolato «La terra dal volto mascherato», lo scrittore David Grossman cerca di sollevare la «keffyah» dal nemico per poterlo guardare in faccia. Un'esperienza dura e dolorosa. Due anni e mezzo fa Grossman descrisse nel «Vento giallo» il montare della collera palestinese e l'approssimarsi della sollevazione contro l'occupazione militare israeliana. Adesso, nel campo profughi di Ascar, uno dei focolai più accesi della protesta, soppesa con sette giovani attivisti dell'Intifada le speranze dei palestinesi e le paure degli israeliani. «Come si concilia — chiede loro — l'uccisione di 150 palestinesi accusati di collaborazionismo con il vostro ripetuto impegno di costituire un futuro Stato democratico? Noi, in Israele, abbiamo avuto due omicidi politici in quarant'anni». Risponde Sallah: «Voi avete la vostra legge, noi abbiamo la nostra». «E' appunto di questo che. noi abbiamo paura — replica lo scrittore israeliano — di questa vostra legge, della violenza, di un secondo Libano». Nella piccola stanza del cam- Eo profughi alla periferia di Nalus, il dibattito politico fa salire la tensione. Ma basta che qualcuno serva in tavola una scodella di riso e un piatto di «hummus» per disinnescare la miccia. Questi giovani che impongono il loro volere girando col volto coperto, pensa Grossman, sono stati demonizzati dai politici israeliani e dai mass media. Sono inoltre il frutto di 22 anni di occupazione in cui le autorità israeliane hanno fatto tutto il possibile per umiliare le persone troppo indipendenti ed elevare la feccia, allo scopo di dividere e sottomettere il popolo palestinese. «Prima dell'Intifada — aggiunge Grossman — i palestinesi si erano come cancellati la fisionomia, si disprezzavano. Con persone simili si poteva vivere solo nella menzogna. Con i nuovi palestinesi potremo invece avere relazioni più sane e normali. Se lo vorremo e se sapremo osare». A uno dei suoi interlocutori Grossman chiede quanto possa durare ancora la rivolta. «Ormai ci abbiamo fatto l'abitudine — risponde costui —. I miei figli si addormentano benissimo anche se fuori si sentono gli spari dei soldati. Per loro sono come una ninna nanna». L'autoironia è solo una delle caratteristiche che secondo lo scrittore di Gerusalemme accomunano israeliani e palestinesi e che potrebbero fare da base per una futura cooperazione. Entrambi i popoli sono intelligenti, laboriosi, caldi, dotati di grande vitalità. Entrambi, in diverse circostanze, si sono trovati sospesi in un Limbo ai margini del Tempo e della Storia. «Se il mio nemico avrà un suo pezzo di terra — ragiona Grossman — ritornerà nel Tempo, passerà dall'illusione alla realtà». La costituzione di uno Stato palestinese (smilitarizzato) è dunque un calcolato interesse israeliano. Ma la ruota è girata: «Mentre loro sono presi da un processo creativo, fisico e mentale, nazionale e privato al tempo stesso, noi israeliani siamo sprofondati nell'indurimento dei sensi e nell'abbandono». Un. soldato israeliano attraversa una strada di Nablus. I passanti lo osservano mentre, elettrizzato dalla paura, si guarda più volte dietro le spalle, il fucile carico, muovendosi con rapidi scatti nervosi. Gli israeliani, pensa Grossman, avrebbero bisogno di un leader coraggioso che sapesse proporre loro una visione di cooperazione con i palestinesi. Hanno invece per premier Yitzbak Shamir, un «riccio politico» che si limita a farsi portavoce di paure ancestrali. Al termine di questa escursione e nei territori occupati e nella sua coscienza privata, Grossman si sovviene di una frase attribuita ad antichi rabbini: «Come l'oliva non dà il suo olio se non viene premuta, così il popolo d'Israele non torna sulla retta via se non attraverso il dolore». E conclude: «Povera terra mia, che ti suicidi un poco alla volta». [f. a.]

Luoghi citati: Gerusalemme, Israele, Tel Aviv