Sposati per le apparenze? Meglio il divorzio

Sposati per le apparenze? Meglio il divorzio Triplicate le separazioni dal 71: soprattutto le donne che lavorano preferiscono rompere se il rapporto è logoro Sposati per le apparenze? Meglio il divorzio Nei primi mesi o dopo vent'anni i momenti critici per le coppie Il sessanta per cento dei separati si era sposato molto giovane ROMA DALLA REDAZIONE 0 subito o dopo vent'anni: gli italiani, secondo gli ultimi dati Ispes, hanno nei confronti della separazione o del divorzio un comportamento singolare. Il 4%, pari a 1414 coppie sposate, si lascia dopo appena pochi mesi di convivenza; il 20%, invece, dopo due decenni. E in ogni caso per «coerenza», nella convinzione cioè che il rapporto sia ridotto ad un fatto di pura facciata. Cade dunque il mito della crisi del settimo anno: il numero delle crisi che si verificano in prossimità della fatidica scadenza è mediamente in linea con i dati degli anni successivi. Sembra essere proprio la «coerenza» la causa principale, rispetto al passato, dell'aumento notevole di separazioni e divorzi avvenuto dal '71, anno dell'approvazione della legge, all'88. In questi anni le separazioni sono più che triplicate, da 11.796 sono passate a 37.030, mentre i matrimoni sono andati calando, da 404.464 del '71 a 315.447 dello scorso anno. La quasi totalità dei divorzi riguarda persone separate per accertata mancanza di comunione. Inesistenti o quasi i casi di condanna penale di uno dei coniugi, in tutto poche decine. Invariato, invece, il numero dei matrimoni annullati dalla Sacra Rota: non superano i cento casi. Lo studio dell'Ispes dimostra che i soggetti più a ri- schio sono le donne che si sono sposate giovanissime. Il 74% delle divorziate, infatti, si è unita in matrimonio al di sotto dei 25 anni. La percentuale degli uomini è del 43%. Ne consegue che il 58% dei divorziati al momento del matrimonio aveva meno di 25 anni. L'Ispes mette quindi in guardia contro le unioni «giovanissime». Ma perché aumentano le separazioni? Due le ragioni principali indicate dall' Ispes, una di natura psicologica, l'altra di natura economica. Le nuove generazioni rifiutano di vedere nel matrimonio o nella sua continuazione una sistemazione. L'aumento dell'occupazione femminile, inoltre, rende più autonome le donne, liberandole da quella dipendenza materiale che spesso le costringeva ad accettare situazioni matrimoniali insostenibili. Per quanto riguarda i figli minori coinvolti in separazioni e divorzi, l'Ispes dice che il loro numero è in diminuzione dopo l'impennata degli anni '81-'84. E' consolidata la prassi dell'affidamento alla madre, circa il 90%. Diminuiscono di conseguenza gli affidamenti al padre. La metà dei figli di separati, comunque, ha meno di dieci anni. Con l'incremento dei fallimenti di coppia si assiste negli ultimi tre anni anche all'aumento dei matrimoni, dopo un pauroso calo che negli Anni Settanta li aveva portati da 7,5 per mille abitanti a 5,2. Nel 1988 invece le unioni sono risalite al 5,6. La tendenza, secondo l'Ispes, si spiega con un fatto puramente demografico e cioè l'arrivo all'età matrimoniale dei figli del «baby-boom» dei primi Anni Sessanta, in coincidenza con il miracolo economico. Il dato complessivo comunque rimane sempre negativo: centomila matrimoni in meno in 17 anni. Perché ci si sposa di meno? L'Ispes fornisce più di una spiegazione: l'affermazione di forme di organizzazione familiare diverse da quella tradizionale (convivenze) e, soprattutto, l'esistenza di fattori socio-economici avversi. La crescente disoccupazione giovanile e l'aumento della scolarizzazione universitaria allungano, per esempio, la permanenza nella famiglia d'origine. Altro deterrente contro i matrimoni sem¬ bra proprio essere, almeno nelle grandi città, la difficoltà di trovare casa. Nel panorama delle disfunzioni della giustizia le separazioni, sia consensuali che per colpa, sembrano invece avere una «corsia preferenziale». Sei mesi per le prime e non più di due anni per le seconde. Un vero miracolo. Le coppie in crisi non amano comunque litigare dinanzi al giudice: l'86 per cento si lascia in pieno accordo.

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