CANTAVA COSI' LA SINISTRA DEL PIAVE

CANTAVA COSI' LA SINISTRA DEL PIAVE CANTAVA COSI' LA SINISTRA DEL PIAVE Di qua è di la del FiaVé / Ci sta un'osteria /...». Ci sono ancora le due osterie, proprio una di fronte al I l'altra. Come ci sono i ricordi, tra gli anziani, di come erano i tempi quando apparve questa canzone. E noi, della generazione nata allora, la canzone delle due osterie l'abbiamo cantata molte volte, certo di più della «Canzone del Piave» così patriotica e retorica, anche se nel ritornello, invece di «Non passa lo straniero» cantavamo «un litro di quel nero». L'osteria «al di là» stava, sta sulla riva sinistra, in quella terra tra il Cansiglio e la Livenza, ed è abitata da gente singolare, con particolari doti, che fa a loro dire con orgoglio: «Siamo della sinistra Piave». Ma nel novembre del 1917, dopo la rotta di Caporetto, questa terra generosa venne occupata dall'esercito austro-ungarico e, nella parte alta, da un corpo di spedizione tedesco. Per quella gente al di là del Piave incominciò un anno di grandi sofferenze, e di attese. Poi, finalmente, venne Vittorio Veneto e, con la vittoria deli e senato italiano, la liberazione. L'euforia che seguì, i problemi che verniero subito dopo, il fascismo poi, fecero dimenticare ai più le grandi sofferenze della popolazione occupata o protuga, che a volte veniva anche dileggiata dal nazionalismo irionfan te: tutte le pubblicazioni e le commemorazioni ricordavano gli eroi, i combattenti, i aderì monti, i sacri fiumi, Trento e Trieste redente, solamente le tipografie locali tra il 1919 e il 1924, stampavano qualche libretto di autori poco noti o di parroci, o di maestri che volevano consegnare alla pagina scritta i patimenli di quella genie. E nelle sei e d'inverno, quando la nebbia saliva dalle lagune c la neve dalle montagne e avvolgeva nel silenzio alberi e case, attorno al fuoco qualche doiaiu raccontava ai figli o ai nipoti di quell'anno tremendo di fame e di malattie, di quando la povera gente che moriva veniva sepolta nelle fosse comuni come i soldati al fronte. Che era lì: davanti alle loro case! Dopo settantanni, ora che le cose si possono storicamente rivedere, Mario Bernardi, che tra ijuolìà gènte vive, ha i accolto testimonianze dalla voce degli ultimi sopravvissuti, è andato a ricercare vecchi diari di donne e di parroci, ha frugato nelle memorie, nelle soffitte, nei conventi, nelle pubblicazioni del tempo; per non dimenticare, per non far dimenticare le tribulazioni della sua gente nella guerra «dietro il fronte» in quel terribile anno: novembre 1917 / novembre 1918. Lavorando ha messo insieme un libro non inutile. Incomincia con la descrizione di una lapide esistente sui muri esterni della chiesa di Busco, che ricorda un soldato che era partito dalla Boemia per morire a ventanni sul greto del Piave e prosegue per duecento pagine riportando diari di persone comuni, ricostruisce situazioni dei paesi invasi dove succedono saccheggi, devastazioni, incendi, fame nera e malattie. La farina da polenta si cede solo in cambio di oro; per non morire di fame ragazzi e ragazze lavorano per il nemico a ridosso della prima linea. In questo disumano vivere si aspetta ia morte, ma quando nel cielo passano gli aeroplani con il cerchio tricolore sulle ali nei cuori rinasce la speranza. Tra lutto questo il libro di Bernardi parla anche della battaglia del solstizio, dei prigionieri, della battaglia di Vittorio Veneto, dei generali nosiri e austro-ungarici, del famoso tenente Alessandro Tandiud, di Francesco Baracca. Ma è lì, solo li in quella manciata di fichi secchi che il congedato caporale Piero Fedrigo del 55° fanteria, classe 1877, porge alla sua bambina rimasta al di là del Piave, l'essenza e la morale di tutto il libro. Mario Rigoni Stern Mario Bernardi Di qua e di là dal Piave DaCapóretto a Vittorio Veneto Mursia, pp. 206, L. 24.000.

Persone citate: Alessandro Tandiud, Francesco Baracca, Mario Bernardi, Mario Rigoni Stern, Piero Fedrigo

Luoghi citati: Caporetto, Trento, Trieste, Vittorio Veneto