ITALIA IN BARCA di Antonio Spinosa

ITALIA IN BARCA ITALIA IN BARCA La storia della Marina da Matapan al Golfo Persico SIAMO un popolo di navigatori? Forse crediamo di esserlo per l'eco di una retorica ventennale sul Mare nostrum mutuata dall'antica Roma di Pompeo e di Cesare, dal Bellum iugurthinum di Sallustio o dalla Pharsalia di Lucano. Ma in realtà non lo siamo, né compiutamente lo eravamo nemmeno quando la Marina Italiana figurava al quinto posto fra le potenze navali del mondo Benché attorniato da! mare, non siamo neppure un popolo di pe scatori. Più volgarmente siamo un popolo di bagnanti e di «barchettai» ferragostani, come scrive con disappunto Giorgio Giorgerini nel suo ultimo libro, Da Matapan al Golfo Persico che ha per sottotitolo «La Marina militare italiana dal fascismo alla Repubblica». Un libro, questo, che nella lettura dovrebbe avei e per contraltare quello di Gianni Rocca Fucilate gli ammiragli (come ordinò Mussolini alla ricerca di capri espiatori), nel quale si illustra la tragedia sofferta dalla Marina nella seconda guerra mondiale. A Matapan, nel Peloponneso, la flotta dell'ammiraglio italiano Iachino fu gravemente sconfitta dalle navi dell'ammiraglio inglese Cunningham, e l'episodio stette a significare il tramonto d'un sogno di potenza marinara, sebbene Giorgerini, pur lamentando questa fine, affermi che il collasso di Matapan non fu dovuto a una battaglia persa, ma a uno «sfortunato evento», secondo un eterno vi zio nostrano di chiamare in causa la sfortuna e non gli errori compiuti. A Matapan la ragione principale del luttuoso av^» -,i mento fu la mane. mh . tura aerea, al di la dell assei del radar non ancora in posses so delle navi italiane. Il Gollo Persico, l'altro elemento del libro, ò stato invece teatro dell'u nica missione militare degna di questo nome che la rinnovala Marina, quella repubblicana, abbia compiuto in zona di guer ra dalla fine dell'ultimo conflit lo a oggi. La rievocazioni.' di Gioì gei ini non prende le mosse dalla notte di Matapan, che e del 1941, ma risale a un'altra notte, quella dei 1922. Emergono cosi le questio ni de! Ventennio: quanto la Regia marina era permeata di fascismo; quali furono i rapporti fra Vittorio Emanuele e Mussolini che preferiva conferire maggior potere all'Esercito e all'Aeronautica a discapito della fiotta navale; quanto grave fu la re-, sponsabilità di Mussolini, anche in veste di ministro della Marina, nello sfaldamento d'un'anti ca tradizione marinara. L'atteggiamento della Marina si adattava alle circostanze. Inizialmente gli ammiragli temettero che il fascismo potesse prò-, clamarsi repubblicano, ma quando Mussolini si disse monarchico caddero alcune delle loro più serie preclusioni. La flotta, che pure rimaneva lealista, si comprometteva anch'essa col regime che del resto mostrava di destinare all'Italia un futuro di potenza navale mediterranea. Il Mediterraneo diventava il «lago nostro», e la Marina accoglieva con soddisfazione queste prospettive. Ma quando esse persero l'iniziale vigore, volgendo Mussolini il suo interesse in p;i ili colar modo all'Esercito, gli ambienti marinari tornarono a prendere le distanze dal regime. Insomma la Marina non fu mai interamente t.:omussoliniana, e se stava per diventarlo, fu proprio il duce a distrarla e a riportarla alla sua definizione di «regia» che significava «lealtà allo Stato e alla sua massima espressione, cioè alla persona del re». Un forte contrasto esplose sull'istituzione di una nuova carica, quella di capo di Stato Maggiore generale, che Mussolini volle affidare a un uomo dell'Esercito, Badoglio, mentre la Marina, ingelosita, premeva almeno per una rotazione. Molti giovani ufficiali di Marina erano attratti dai miti del fascismo, ma gli alti gradi dell'arma si confermavano lealisti. Anzi si strinsero ulteriormente al sovrano quando il regime varò di punto in bianco una legge che istituiva il grado di Primo maresciallo dell'impero attribuendolo non solo a Vittorio Emanuele, ma anche a Mussolini Al. TZkt ULl .ItiUW^IuUO 11 IL e il duce potevano esibire sulle maniche della giubba e sul berillio un fregio consistente in di greche disposte parallelamente i inni sull'altra. La doppia greca sembrava simboleggiare il parallelismo della diarchia di cui loro due occupavano i vertici, ma in realtà il duce non solo raggiungeva il re, ma si preparava pure al sorpasso per strappargli il comando supiemo delle foi ze armale. Tutto ciò piaceva meno che mai alla Marina, la quale, scrive Giorgerini, «si sentì particolarmente colpita» avvertendo nella doppia greca il «primo serio attacco del fascismo alla monarchia». Si ebbero manifestazioni di malumore, e dal quadrato ufficiali di alcune unità navali scomparve il ritratto di Mussolini che si affiancava a quello di Vittorio Emanuele. Il duce cercò di correre ai ripari. In quel 1938 si mostrò particolai mente rif.uaiduai; nei c^ntiùnti degli ammiragli e della Marina con imbarchi, crociere e parate navali. Ma l'anno successivo perse quel poco che aveva guadagnato nominando nuovo capo della fiotta l'ammiraglio Arturo Riccardi, un nome che gli era stato consigliato nientemeno che da Ciaretta Petacci, la giovane amante di cui non subiva soltanto il fascino muliebre nel segreto dell'alcova dello Zodiaco a palazzo Venezia. Giorgerini svolge un'appassionata argomentazione per dimostrare la sostanziale indifferenza della Repubblica nei confronti delle questioni marittime; attribuisce questa indifferenza a «una certa vena ideologica cattolico-socialmassimalistica» che non capisce come la nostra esistenza economico-produttiva dipenda in gran parte dai rifor¬ nimenti via mare. Ricorda la battaglia sostenuta dalla Marina militare negli anni 1973-'75 per assicurare al Paese uno «strumento navale minimo». Fu una partita vinta, ma ora la flotta italiana è nuovamente minacciata dal pericolo di scomparire quasi totalmente. Tutto giusto? Forse, a meno che Giorgerini non sia anùuaiu da un amore esclusivo per le navi, come può succedere a un ufficiale di Marina che scriva libri sulla Marina. Antonio Spinosa Giorgio Giorgerini Da Matapan al Golfo Persico Mondadori pp.684. L. 40.000

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