PIÙ' TECNICA CHE RICETTE PER PIATTI DA MARCHESI

PIÙ' TECNICA CHE RICETTE PER PIATTI DA MARCHESI PIÙ' TECNICA CHE RICETTE PER PIATTI DA MARCHESI IMILANO L nostro è un paese di profonda incultura gastronomica, almeno per ciò che attiene alla ristorazione medio-alta (discorso diverso sarebbe quello della cucina familiare). Le ragioni sono ovviamente molte ma riconducibili a quelle medesime che hanno condizionato il resto della nostra cultura negli ultimi due secoli. Non c'è stata una rivoluzione borghese, per esempio; quella industriale è arrivata in ritardo; !a posticcia unità nazionale ha provocato e promosso uno sconquasso economico, innescando processi perversi di autodifesa e di controllo. Un popolo di santi, di poeti e di furbi. Osti più furbi che colti. Con le giuste eccezioni, da contarsi sulla punta delle dita di una mano mutila. Ma ci sono e di valore europeo. Dico di cuochi colti, che si domandano il perché delle cose prima di decidere sulle cose. Uno di questi, è Gualtiero Marchesi. Esce ora un suo libro, La cucina regionale italiana (Mondadori, pp. 430, L. 50.000), che a me pare mirabile proprio per la sua consistenza culturale inusuale. Lo ammetto, la mia è una diagnosi pessimistica dello stato delle cose italiane. E' d'accordo o no? Purtroppo sono d'accordo. Vorrei tanto che il successo della ristorazione italiana, di cui si parla, fosse un vero successo, mentre mi sembra la solita solfa, che si ripropone con puntuali scadenze. Senti dire: «Adesso siamo negli Usa», mentre non è vero. Siro Maccioni, il numero uno a New York, ha chiamato il suo locale Le Cirque e ha sempre avuto uno chef francese. Ho l'impressione che si tratti sempre della stessa.frittata rigirata, perché non ci siamo mai mossi in una direzione giusta, cercando cioè di ripartire da zero. E' difficile, lo so, fare tabula rasa. Però tutti ricominciano da dove son capaci di ricominciare. Ecco, in luogo di allenatori di calcio bisognerebbe importare allenatori di cucina. C'è, insomma, una gran carenza di preparazione di base. Nelle scuole, per esempio, si insegna subito la cucina regionale, i piatti regionali. e non si è capito che prima bisogna insegnare i «fondamentali». Se preferisce un altro riferimento pensi ai musicisti: prima di incominciare a suonare ci vogliono anni di umile esercizio, il solfeggio, le scale. Per imparare a fare della buona cucina non è necessario imparare a fare delle buone ricette. Semmai è il contrario. Ho l'impressione che siamo ancora a zero. Tutti vogliono o cercano le ricette, ma nessuno la tecnica. Come quei ragazzini ai quali si insegna subito al piano il Petit montagnard, così i genitori sono contenti. Però lì si fermano, non fanno molta strada, perché non è quella la via per diventare grandi interpreti, per suonare Beethoven. Bisognerebbe che i giovani capissero quanto è fondamentale girare il mondo, farsi qualche anno in giro per l'Europa, nei grandi ristoranti, a vedere, a imparare facendo raffronti. Poi a 27 o 28 anni si potranno fermare, però con una grossa esperienza accumulata. Vuol dire che in Italia non ci sono insegnanti, maestri, scuole? L'ha detto. Salve le poche ecce¬ zioni. Per questo dicevo che bisogna importarli. Invece mancano, da noi, cultura e interesse. I professori universitari vanno, nell'anno sabbatico, a studiare, ad aggiornarsi. Ha mai sentito di un nostro «grande» cuoco che vada a seguire corsi d'aggiornamento? Altrove accade. In qualche modo questo tuo libro è la dimostrazione del suo discorso. Infatti, nonostante le apparenze, non è un libro di ricette. Certo, ci sono, ma ognuna con un suo scarto rispetto alla regola, ma anche con le motivazioni, le ragioni, il perché. In fondo è un libro dei piatti che a me, personalmente, piace realizzare, pensando però a un Paese così vario, da Nord a Sud. Io seguo due stimoli: uno di interpretare i piatti classici in altro modo, ma con scarti minimi, l'altro di realizzarli perché sono cose nelle quali credo. Ci sono sollecitazioni «naturali», che si rifanno ai profumi della terra (una questione di gusto, dove mi riconosco nei profumi della Liguria), e altre «intellettuali». Oppure, c'è una cucina dell'estate, in cui c'è amore e rispetto della natura, e una cucina invernale, più intellettuale. C'è il Meridione e c'è il Piemonte. Dopo la «nouvelle cuisine» sembra che adesso vada di moda la cucina regionale. Ma ha un senso in una situazione in cui le risorse stanno perdendo le loro qualità tipiche e stagionali, in cui le comunicazioni rendono possibili grandi trasferimenti e acquisizioni di nuove, altre risorse... Sì, ma la nouvelle cuisine nacque davvero come la cucina del territorio, interpretata da grandi cuochi. Ma anche li si poneva una differenza, che resta la vera, grande differenza sempre fiiù sensibile, oggi: la cucina dela città e quella della provincia (a proposito, Troigros, quand'ero alla sua scuola, mi diceva: prima vai a Parigi a imparare la tecnica e poi vieni in provincia, e impari a cucinare). Quello è il discrimine. Anche Vcrgez, nel suo libro, dà due versioni della zuppa di pesce: una cittadina e una del suo ristorante di provincia nizzarda. Folco Portinari

Persone citate: Beethoven, Folco Portinari, Gualtiero Marchesi, Petit, Siro Maccioni, Troigros

Luoghi citati: Europa, Italia, Liguria, New York, Parigi, Piemonte, Usa