Palestinesi e israeliani come fratelli siamesi

Palestinesi e israeliani come fratelli siamesi Habiby e Yehoshua, scrittori per la pace Palestinesi e israeliani come fratelli siamesi D ICE lo scrittore palestinese Emil Habiby: «Credo che i popoli israeliano e palestinese siano come fratelli siamesi in un solo Se uno di essi muore, anche l'altro». Dice lo israeliano A. B Yeho- corpo. muore scrittore shua: «Credo che i popoli palestinese e israeliano siano come una vecchia coppia di coniugi. Vivono in simbiosi, con il reciproco bisogno di nutrirsi l'uno dell'apporto dell'altro». Entrambi già tradotti in una dozzina di lingue, Yehoshua e Habiby usciranno da noi l'inverno prossimo, pubblicati rispettivamente da Einaudi e Editori Riuniti. Stile e riferimenti molto diversi: le radici di Habiby nella satira, nel paradosso, nel gusto di una fantasia minuziosa e rutilante che sovente ama esprimersi a volute concentriche; quelle di Yehoshua nel coraggio lucido dell'introspezione, della sistematica revisione delle certezze, dell'interrogativo costante. Comune denominatore, ciò che più conta oggi in Medio Oriente: la ricerca della pace. «Sono nato nel '22, a Haifa, che allora era Palestina — racconta Habiby —. Io sono più antico dello Stato d'Israele, e combatto per una giusta pace, per i giusti diritti del mio popolo. Così, la vita dello Stato d'Israele sarà molto più lunga, infinitamente più lunga della mia». Fu il primo figlio «nato in città» di una famiglia che per generazioni aveva abitato a Shfar Am, villaggio il cui folklore tuttora ricorda il padre di Emil, un maestro che aveva insegnato a leggere e a scrivere a tutti i ragazzini della zona. Nel '42, a Gerusalemme, mentre studiava ingegneria Habiby cominciò a lavorare alla radio palestinese: corrispondenza con gli ascoltatori, notiziario, servizi giornalistici. Nel '48, «riuscii a rimanere». Pervade l'intera sua opera il rammarico per i troppi che, allora, presero la via dell esilio. Cittadino israeliano, parlamentare comunista alla Knesset, nel '52 si dimise per dedicarsi al lavoro letterario. Ora abita a Nazareth. I romanzi più noti: La sestina della guerra dei sei giorni, Luka figlio di Luka, Ikhtaya il peccato, fhe pessoptimist (cioè // pessimista/ottomista), che uscirà da Editori Riuniti. Dialoghi con un amico extraterrestre, innamoramenti del protagonista per ragazze che si chiamano Bentornato e Benrestata, sogni e perplessità, slanci e disorientamento, ogni personaggio che si sdoppia, si moltiplica, parla con se stesso, col suo alter ego, con altre facce di sé. E tanta ironia, nei riguardi di tutti. Una battuta sugli israeliani: a un certo punto il protagonista accosta le modalità della conquista della Palestina alle devastazioni di crociati e mamelue chi, ma l'extraterrestre lo interrompe: «No, per carità, figlio mio, non dire enormità. Questa di oggi è solo gente che sta tornando a casa pròpria». Una battuta sugli arabi: mentre bevono vino prodotto da israeliani in un villaggio palestinese, cantano di essere «i più prodi fra i prodi» nei piaceri della vita e al sopraggiungere dell'ebbrezza inneggiano alle risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell'Orni sulla Palestina. «La letteratura mi consente di dire fino in fondo ciò che penso — spiega — mentre in politica l'esigenza è di mediare continuamente. In più, un romanziere deve dare ai suoi lettori anche piacere, e una trama. Per quanto mi riguarda, credo che il maggiore diletto per chi mi legge sia un bellissimo stile». Cosa intende per tale? «Un modo di esprimersi che affondi le radici nel retaggio popolare antico di un popolo. Non ho paura di dirlo perché la cultura della mia gente non è mai stata avulsa da quella del resto del mondo. E sarebbe impossibile, oggi, pensare a civiltà isolate dal contesto generale. Sono an- che persuaso che l'essere umano è stato sempre lo stesso, dovunque, con le sue esigenze e i suoi sogni: oggi questo aspetto emerge su ogni altro. E' quanto cerco di esporre nei miei libri, che sono molto palestinesi, molto arabi, ma allo stesso tempo possono appartenere a tutti». Alla versione italiana provvedono Isabella Camera, professore associato di lingua e letteratura araba all'Istituto di Lingue orientali di Napoli, e Lucy Ladikoff, palestinese, laureata a Bir-Zeit e a Genova, lettrice alla Ca' Foscari di Venezia. La famiglia di Abramo Yehoshua viene dalla Spagna. Fuggi nel 1493: l'Inquisizione massacrava gli ebrei. Andarono in Grecia. L'origine della famiglia materna è italiana: cognome, Rosilio. Finirono in Marocco. Il tempo non stinge emozioni che nel tempo si sono stratificate sotto i ricordi. «Anzi — riflette lo scrittore — certe reazioni si possono capire solamente ripercorrendo la storia delle persone, all'indietro, nei secoli». E' il tema del romanzo cui sta lavorando, cinque conversazioni che partono dal 1983 per arrivare al 1848. Di A. B. Yehoshua, docente di Letteratura comparata all'Università di Haifa, 52 anni, i romanzi più noti sono L'amante, Un divorzio tardivo, Le cinque stagioni di Molkho, La morte. Questi due usciranno da Einaudi. «L'ultimo — racconta — è composto di 6 monologhi di altrettanti personaggi che continuamente cambiano, si raccontano, si ridu finisci ni». L'altro narra le vicende di un uomo che, dopo la morte della moglie, non nesce più a vivere come entità autonoma. Dura 5 stagioni, l'angosciata ricerca del modo per riuscire a continuare senza di lei». L'amava dunque così tanto? «Nient'affatto. Ma appena il rapporto non è più perfettamente bilanciato l'intimità si tramuta in qualcosa di torbido. Un incastro che finisce con l'uccidere la tua autonomia psicologica; non sei più capace di uscirne. Non esiste possibilità di divorzio, per questo genere di matrimoni. Ci si mangia l'un l'altro. Non puoi più fare a meno del coniuge, te lo sei inghiottito». Si può evitare, non vivendo insieme? «Per immane e assoluto che sia, l'amore si distrugge, senza una quotidianità di vita comune». Ma allora non c'è speranza, se il matrimonio è destinato a finire in cannibalismo psicologico. Una pausa, poi la risposta di Yehoshua: «E chi lo sa. E' curioso, trovarsi a discutere di questi argomenti al telefono fra Milano e Haifa». Tema dominante nei suoi romanzi è la problematica della famiglia, ma quell'implacabile incastro di sentimenti ò pure una metafora politica: palestinesi e israeliani, appunto, considerati come vecchi coniugi i quali non possono più vivere divisi. E sul fatto che non si amino non ci sono dubbi. «Io sogno una sorta di Benelux del Medio Oriente — dice — composto da Israele, Palestina, Giordania. E' chiaro che per farlo bisogna, prima, arrivare alla creazione di uno Stato r:; lestinese indipendente. Front. ì aperte fra i 3 Stati. Si chiamerebbe IsFalUr, sigla t'ormata dalle iniziali di Israele (Is), Palestina (Fall e Urdun (cioè Giordania in arabo). Il nome è già pronto». Purtroppo solo il nome. «Non lo so. Una cosa è certa: il futuro sarà questo oppure la guerra». Traduttore di Yehoshua è Gaio Sciloni, fiorentino, da tempo residente in Israele, laureato in Agraria e Letteratura italiana comparata, che ha già curato le versioni italiane di Grossman, altro autore israeliano pacifista. Ornella Rota l ti KC.U Una donna araba col suo bimbo e un soldato israeliano: la pace è ancora lontana..