C'era una laurea per Sciascia
C'era una laurea per Sciascia Dall'Università di Messina: «Aspettavamo che stesse un po' meglio» C'era una laurea per Sciascia Ad honorem, ma per un anno è stata rinviata MESSINA DAL NOSTRO INVIATO La morte, non inattesa ma certamente troppo repentina, ha negato a Leonardo Sciascia una piccola soddisfazione alla quale teneva più di quanto apparisse ufficialmente. La Facoltà di Lettere dell'Università di Messina lo aveva proposto per la laurea honoris causa ed era vicinissima la data della cerimonia. Purtroppo le condizioni di salute dello scrittore avevano, più d'una volta, impedito di fissarla definitivamente e, per un anno, era stata rinviata, nella speranza che Sciascia si rimettesse. «Peccato — dice il preside della Facoltà, Gianvito Resta —, perché Leonardo ci teneva. Non tanto per il riconoscimento, quanto per il fatto che gli ve niva dalla "sua" università, quella dove aveva fatto gli stu di». E quella, aggiungono altri più maliziosi, che aveva bocciato in italiano lo studente Leonardo Sciascia. Sarebbe stato, in fondo, una sorta di riconciliazione, ma anche una riparazione a un torto «antico» (anche se dimenticato). L'iniziativa dell'ateneo messinese non era sconosciuta allo scrittore e, negli ultimi tempi, quando la malattia s'era fatta più grave, ai suoi famigliari. Racconta il professor Resta: «Da tempo mi ero messo in con tatto con Sciascia, comunicandogli che il consiglio di facoltà aveva deliberato e inviato, come vuole la prassi, l'incartamento al ministero». Ciò accadeva verso l'inizio del 1988. Dopo l'affo di impulso (come si chiama in gergo) del consiglio di facoltà, la presentazione della motivazione e la «presa visione» del senato accademico, si aspettava soltanto la decisione del ministro. Sciascia aveva accettato di buon grado, superando le ritrosie che lo avevano, in passato, portato a rifiutare analoghe iniziative di altre università. Il parere positivo del ministro è giunto a metà dello scorso anno e si cominciò a pensare alla cerimonia. «Parlai più di una volta con Sciascia», ricorda Resta. «Avevamo in mente una grande festa della cultura, un'asse in blea che aprisse le porte a tutti». Il preside e Sciascia si senti¬ rono ancora all'inizio dell'anno. «Pensavamo di fissare la data per la primavera, a marzo». Ma lo scrittore cominciava a star peggio. Si scivolò ad ottobre, ma quando il preside cercò di Sciascia, apprese che le condizioni erano ormai gravissime. «Parlai con la moglie — ricorda — e fu. quella, l'ultima volta. Poi non me la sentii più di ritelefonare. Peccato. Sciascia aveva finanche deciso l'argomento per la prolusione che il rito richiede. Avrebbe parlato del "suo" Giuseppe Antonino Borgese». Un autore amatissimo da Sciascia. «Non a caso — dice il professor Resta — in Borgese, siciliano anche lui, si trova una tensione morale, una lucidità, un impegno civile, simili alle caratteristiche sciasciane». Leonardo Sciascia aveva studiato a Messina. Si era iscritto alla Facoltà di Magistero nel 1941. Dopo qualche esame superato senza gloria (per esempio un 18 in filosofia) l'anno successivo preparò quello biennale di italiano. Docente era il professor Michele Catalano, fu lui che bocciò Sciascia. Motivo della bocciatura, riferisce lo scrittore Claude Ambroise, «l'aver fatto riferimento a un testo di Silvio D'Amico sul teatro, venduto a dispense e quindi giudicato divulgativo». Ma secondo un vecchio compagno di studi di Sciascia, Clemente Casuccio, il vero motivo fu più banale: il giovane Leonardo si era rifiutato di studiare l'Ariosto sulle dispense scritte dal professor Catalano. Francesco Li Licata Leonardo Sciascia
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