Arte, che passione (ma con prudenza) di Valeria Sacchi

Arte, che passione (ma con prudenza) Banche e assicurazioni i grandi compratori, Milano resta una piazza ai margini del grande mercato Arte, che passione (ma con prudenza) A New York e Londra aste record, arrivano i giapponesi MILANO. La Milano dell'arte gode buona salute. Da due anni è in netta ripresa, di lifiesso al boom mondiale il quale, per la verità, era partito molto prima, verso la metà degli Anni Ottanta. Internazionalmente, questa eplosione ò legata all'ingresso dei giapponesi, e ad una fase nella quale l'opera d'arte diventa investimento alternativo. Pochi giorni or sono, in una sola serata, Sothcby's e Christic's hanno venduto per 230 milioni di dollari di arte moderna a compratori così suddivisi: 40% giapponesi, 35% europei e 25"» statunitensi. Gli americani sono dunque in calo, torna alla riscossa la vecchia Europa. E l'Italia? «L'Italia è un mercato vicino alla zero, se paragonato al mondo» dice Carlo Monzino, uno dei più importanti collezionisti italiani, con residenza in Svizzera: «Il compratore italiano non supera i due, tre miliardi di lire, e acquista prevalentemente cose italiane. Tanto è vero che c'è una grande rivalutazione dell'Ottocento. I motivi sono anche di tipo legislativo, come le nonne sulla non trasferibilità dell'opera all'estero e l'istituto della notifica. Metodi sicuri per strangolare il mercato. Ma il boom mondiale dell'arte nasce da un fenomeno nuovo: l'arte ò diventata un investimento finanziario. All'estero, oggi i grandi compratori sono soprattutto le banche, i fondi di investimento, le grandi corporation». «E' vero, Milano è euforica da almeno due anni», conferma Enzo Cannaviello, titolare della galleria omonina specializzata nella pittura contemporanea di lingua tedesca. «L'opera d'arte ò tornata ad essere un bene rifugio, nel senso che su di essa convergono una parte degli investimenti che negli anni precedenti finivano, ad esempio, in Borsa. Ma la maggioranza assoluta della clientela italiana e composta da privati, persone abbastanza prudenti, che preferiscono andare sul nome sicuro». Aggiunge Giorgio Marconi (studio Marconi): «Sono cambiate le categorie. Venticinque anni or sono la maggioranza dei miei clienti era composta da medici. Ora i medici sono spari-, ti, e arrivano i finanzieri, i commercialisti. Insomma, l'industria e il commercio. Ma c'è senz'altro un grande ritorno di interesse, soprattutto per gli artisti inseriti in un discorso internazionale». Sebbene sia tornata ad essere una piazza buona per i mercanti che vi operano, la prima d'Italia (Torino è attenta all'arte, ma e città di collezionisti segreti), la Milano di oggi è un pallido riflesso della Milano degli Anni Sessanta. Allora Milano era arrivala ad essere una delle prime capitali dell'arte del mondo. Famosi galleristi come Leo Castelli avevano qui un giro di clienti. «In quell'epoca, era un mercato sia di assorbimento che di sperimentazione», dice Philippe Daverio: «Oggi la ripresa di Milano è isolata e prevalentemente centrata sull'arte italiana. E anche sull'arte italiana, non riesce a tener dietro a certi prezzi: il De Chirico metafisico messo all'asta la settimana scorsa a New York non potrebbe essere venduto a Milano, troppo alto il prezzo. A Milano il livello duro sono i due miliardi. Esiste uno strano parallelismo tra mercato immobiliare e mercato dell'arte, un po' in tutto il mondo. Diciamo che a Milano, un importante appartamento può arrivare a tre mi- liardi, a New York costa 20 milioni di dollari e a 'Tokyo 30 milioni di dollari. I valori delle opere d'arte sono in proporzione». A tagliare l'Italia fuoii dal circuito internazionale, concorrono parecchi motivi, primo fra tutti i vincoli normativi. Chi acquista un'opera d'arte che ha più di sessantanni, non può venderla fuori dai confini senza permesso e, se la vende in Italia, viene ovviamente penalizzato dai bassi tetti di prezzo. Penalizzante è anche la questione dell'Iva, che in Italia, per le opere d'arte, è al 19%, contro 1*8,3% della Germania il 6,2% della Svizzera, lo zero degli Stati Uniti. «A Milano ha fatto male il populismo delle amministrazioni cittadine a partire dagli Anni Settanta» lamentano i galleristi: «Da allora si è abbandonata qualsiasi politica museale per privilegiare le festicciole al Parco e sui Navigli». E difatti, Giuseppe Panza di Biumo, grande collezionista di arte americana, ha finito per cedere cinque anni or sono i pozzi migliori della sua collezione di astrattisti al museo di Los An geles per la metà del loro valore che, oggi, equivale a un trentesimo del valore. Per anni aveva sperato che la Lombardia dedi casse a questa collezione degli spazi di museo. In prospettiva, non tutto e perduto. I mercati si accendono e si spengono come meteore. Negli Anni Sessanta cerano New York, Londra e Milano. Ora Milano è sparita, New York rimane con Londra, e risalita Parigi, sono risorte Zurigo e Ginevra, brilla la stella di Hong Kong. Sta organizzandosi Tokyo, mentre in Europa si rafforzano i mercati nazionali: fortissima è la Germania, secondo mercato del mondo, vivacissimo il Belgio, ma è in grande ripresa l'Olanda e fa capolino la nuova Spagna. La ruota gira. Valeria Sacchi I RE DI QUADRI I RECORD DI TUTTI I TEMPI ALLE ASTE JDATI IN MILIARDI DI LIRE] . ' (pandani ■ la stampa)

Persone citate: Carlo Monzino, De Chirico, Enzo Cannaviello, Giorgio Marconi, Giuseppe Panza, Leo Castelli, Marconi, Philippe Daverio