«Non ho un partito», dice Dubcek

«Non ho un partito», dice Dubcek «Non ho un partito», dice Dubcek Hajek conferma: «Forti le pressioni da Mosca» PRAGA DAL NÒSTRO INVIATO Nel giorno che consacra la vittoria della rivolta, Praga caccia un gruppo dirigente e ne candida a furor di popolo un altro. Mezzo milione di cechi e slovacchi, la più grande manifestazione nella storia del Paese, salutano il futuro che è sul palco: il vecchio Dubcek, che si proclama «senza partito», ed è già in pectore il padre della patria liberata che la folla vorrebbe presidente, e il timido drammaturgo Vaclav Havel, che in una settimana si è scoperto oratore trascinante e politico intuitivo. «Dubcek, Havel!», è lo slogan dell'investitura, scandito da due giorni e ripetuto sotto centinaia di bandiere. Sul palco cercano affannosamente un posto anche coloro che in questi anni sono venuti a patti con la dittatura, traendone vantaggio: il segno tipico della caduta di un regime. Attori finora defilati, cantanti, presidi un po' compromessi. Inneggiano alla libertà, leggono poesie. Praga leva qualche fischio ma assolve tutti. «Sono molto emozionato, e anche molto contento», esordi¬ sce Dubcek ai microfoni. Il suo non è il discorso irruente di un condottiero; semmai quello calibrato di un politico che gi ì si considera, ed è considerato dalla gente, l'uomo di Stato che tornerà ancora utile al Paese. Ricorda i valori della Primavera di Praga, indica come attuale la strada del «socialismo dal volto umano». La gente non si entusiasma. Racconta del terremoto in seno al Politburo: «E' una manovra? Oppure cos'è che realmente vogliono? Di sicuro non possiamo permetterci di accontentarci». Informa che lui ed altri protagonisti della Primavera hanno chiesto al Politburo di giubilare i brezneviani che lo giocarono nel '68. Aggiunge una postilla illuminante: ho scritto quella lettera, di ce, da «ex membro del partito comunista». «Io non appartengo ad alcun partito», aveva chiarito l'altra sera, mettendosi in qualche modo sopra le parti, ma certamente con l'opposizione, come si conviene ad un candidato alle più alte cariche istituzionali. Del resto già nel documento sottoscritto la settimana scorsa con l'europarlamentare Luigi Colajanni, capogruppo a Strasburgo, Dub¬ cek gettava la cultura comunista in cui è cresciuto dentro il progetto di una nuova sinistra, dai comunisti a forze di formazione liberale. «Sì, Dubcek avrà in futuro un ruolo molto importante: è un simbolo carismatico», pronostica l'anziano Jiri Hajek, l'ex ministro degli Esteri che dal palco dell'Orni sfidò i sovietici e poi fu invitato alle dimissioni proprio da Dubcek, il quale era convinto di poter ancora salvare la Primavera malgrado l'occupazione sovietica. Che ruolo ha giocato Mosca in ciò che sta accadendo in queste ore. professor Hajek? «Credo ci siano state diverse pressioni, esercitate con discrezione». Dubcek chiude un discorso senza grandi immagini con un guizzo da politico consumato. Una frase che scatena un uragano di osanna: «Tutto il potere deve tornare al popolo». E riparte quell'augurio che forse è già un pronostico «Dubcek al Castello», la sede della presidenza della Repubblica, momentaneamente ancora occu pata da Gustav Husak, il dinosauro brezneviano che tradì la Primavera. Il Castello Hradcany, a due passi sullo sfondo di un cielo di neve, non fa più paura. Vaclav Havel sembra quasi additarlo mentre investe il regime con la forza di chi sente ormai la vittoria in pugne. I cambiamenti nel vertice politico, dice, sono solo «una fìnta per confonderci dalle informazioni che abbiamo, il potere è ancora nelle mani dei neostalinisli. Quella è gente pericolosa. Per fortuna sono degli incapaci, non dobbiamo più temere un colpo di Stato». E del primo ministro Adamec: «Era l'unico che non aveva paura di guardarci negli occhi e che cosa è successo? Stepan (i! primo segretario di. Praga, sopravvissuto in comii tato centrale alla notte dei lun| ghi coltelli, ma poi giubilato ieri i mattina dal pc della capitale e ! costretto a dimettersi dal Polii burol ha detto al partito: comi' ; si è permesso Adamec di parla! re con l'opposizione senza avvertirmi7 E Adamec è stato costretto a dimettersi. Ci ha detto che con quella gente (il Politburo) lui non vuole più lavorare Ma noi sosterremo Adamec». Conclude scagliando il guanto della sfida: sciopero generale. per dettare al regime le condizioni della resa. [g. r.] ■•Dubcek e Havel speranza del popolo», dice lo striscione

Luoghi citati: Mosca, Praga, Strasburgo