«Non abbiamo ancora perso»

«Non abbiamo ancora perso» «Non abbiamo ancora perso» Intervista al capo dei ribelli: Occhetto se ne vada ROMA. La rivolta contro Oc- , chetto seguirà passo dopo passo le tappe per arrivare al congresso straordinario. La battaglia degli autoconvocati, cominciata lunedì pomeriggio sui marciapiedi di via delle Botteghe Oscure, punta in alto. Fabrizio Clementi, il comunista romano che li ha chiamati a raccolta, spiega: «La base deve andare avanti con gli stessi tempi del vertice, altrimenti le decisioni ci passeranno sopra la testa. Se aspettassimo di discutere coi burocrati nei congressi di sezione, nel frattempo ci ritroveremmo già iscritti all'Internazionale socialista». Trentaquattro anni, nel pei da 18, il leader improvvisato della protesta vuole combattere ad armi pari contro il «compagno segretario»: «Il congresso non l'abbiamo ancora perso — dice —, ma bisogna cambiare le regole. Io non voglio andare in sezione soltanto per discutere le proposte di Occhetto». Quella appena conclusa, per Clementi, è stata una vera e propria settimana di passione. Entrato nella Fgci a 16 anni, «affascinato dalla storia del partito e da personaggi come Pajetta, Amendola e Ingrao», è cresciuto come militante negli anni del berlinguerismo. Oggi è un impiegato dell'Anci, esperto di questioni istituzionali, che non accetta nessuna etichetta. Racconta i giorni della svolta come un dramma: «Quello che sta succedendo, a ben vedere, era prevedibile. Ma è come se fino ad una settimana fa mi fossi voluto nascondere la realtà. Lunedi mattina però è scattata la molla. Mi ha telefonato un compagno. "Non possiamo rimanere con le mani in mano", ha detto. Ho preso un'ora di permesso in ufficio e mi sono messo alla macchina per scrivere. In copisteria abbiamo fatto le fotocopie e il pomeriggio stavamo in via delle Botteghe Oscure a fare volantinaggio». L'emozione, e forse la sofferenza, di protestare sotto la sede del partito anziché davanti ad una caserma o ad una base militare; lo scontro con i «compagni» del servizio d'ordine; l'invocazione della forza pubblica: «Solo un poliziotto può mandarci via da qui». E la consapevolezza di uscire allo scoperto, con nome e cognome, in un apparato come quello comunista dove le accuse di settarismo e correntismo sono sempre in agguato. «Sono stati momenti drammatici — racconta Clementi —, ma poi 18 anni di militanza hanno avuto il sopravvento: quello che stavamo facendo era giusto. Nel nostro partito le responsabilità individuali vengono sempre risucchiate nella massa. Stavolta no. La storia non si può rivoltare in pochi giorni per mano di un gruppo dirigente, ma dev'essere giudicata dalle coscienze personali di ogni iscritto e militante». Ma perché era prevedibile la svolta di Occhetto? L'autoconvocato usa l'espressione scelta da Berlinguer per sancire lo «strappo» dall'Unione Sovietica: «La forza propulsiva di questo gruppo dirigente si è esaurita. Io ho fatto la battaglia per un rinnovamento che si è ridotto al cambio generazionale del vertice Ma le idee e la cultura politica di Occhetto, Veltroni, Mussi e D'Alema sono vecchie. Sono autoritari, decisionisti e gerarchici come tutti gli altri». Eppure questo non è i! discorso di un nostalgico della vecchia guardia comunista. Secondo Clementi, il nuovo corso ha mostrato le sue debolezze proprio nel confronto con la «modernità» «Del nucleare, ad esempio, hanno capito qualcosa soltanto dopo Cemobil. E sulla responsabilità civile dei giudici, dopo tante battaglie al fianco dei magistrati, si sono appiattiti sul sì al referendum radicale». Poi, dopo il volantinaggio alle Botteghe Oscure, l'autoconvocazione nelle sezioni. E la sensazione di essere in tanti. Venerdì, al Tuscolano, la protesta è arrivata al punto che qualcuno si è detto pentito per aver picchiato gli autonomi nel '77 in difesa di Lama all'università. Altri hanno tempestato di telefonate un numero messo a disposizione dei militanti: «Hanno chiamato centinaia di compagni sconcertati. Sembrava di sentire gli sfoghi a Radio Radicale». Ma non c'è proprio niente da salvare nel terremoto provocato da Occhetto? Clementi ci pensa un po' e alla fine ammette che anche il leader destabilizzatore qualche merito l'ha avuto. «Prima — dice — le riunioni del gruppo dirigente apparivano come quelle dei cardinali: dentro si diceva di tutto e fuori si sventolava un falso unanimismo. Oggi almeno questa ipocrisia dettata dal perbenismo comunista è caduta. Ora devono avere il coraggio di cambiare le regole congressuali e ascoltarci. Perché se non ci stanno a sentire, la base è disposta ad azioni molto decise. Quali? Non lo sappiamo ancora, ma troveremo il modo per non farci ignorare». Giovanni Bianconi Protesta di iscritti davanti a Botteghe Oscure durante l'ultimo comitato centrale

Luoghi citati: Roma, Unione Sovietica