Una Giovanna mistica di Giorgio Pestelli
Una Giovanna mistica Successo a Bologna dell'opera di Verdi diretta da Chailly Una Giovanna mistica Herzog, il regista eli «Fitzcarraldo», ha disegnato un eroina vittima di spiriti buoni e maligni: grande interpretazione di Renato Bruson BOLOGNA NOSTRO SERVIZIO Felice esordio della stagione lirica al Teatro Comunale con «Giovanna d'Arco» di Giuseppe Verdi; l'opera è debole, ma ricca di spunti interessanti e in ogni caso breve e serrata nella struttura: proprio facendo leva su questa concentrazione, Riccardo Chailly e Werner Herzog sono riusciti a rendere un tono generale di vitalità e robustezza, per cui l'opera (massimo vanto per un interprete) è finita col sembrare meno debole di quanto voglia il giudizio corrente. Grande l'attesa per la regia di Herzog, alla sua terza prova nell'opera lirica; ma nulla di strano nel concepimento e nella realizzazione, tenuta nei saldi binari della sceneggiatura originale e nel rispetto delle convenzioni liriche. La guerra è il tema generale in cui il regista di «Fitzcarraldo» inscrive l'eroina, fin dal bozzetto di scena cosparso di cadaveri mutilati di uomini e cavalli e dal colore sanguigno che domina il primo atto dopo la disfatta degli inglesi; per contro, Giovanna non appare mai nella tradizionale tenuta marziale, con elmo e lorica, e si aggira per la scena in una figura che ricorda piuttosto la Lucia di Lammermoor. Anche del suo ambiguo amore per il re di Francia (punto già debole in Solerà e Verdi) nulla arriva alla vita concreta del palcoscenico: Giovanna è fissata nel suo mistico invasamento, preda di quelle voci di spiriti buoni e maligni che la pongono sulla scia del «Roberto il diavo¬ lo» di Meyerbeer. Nella bellissima scena della foresta (allestita da Herzog assieme allo scenografo Henning von Gierke) trova pertanto u suo habitat più convincente: anche l'interprete, l'americana Susan Dunn, tende a una certa fissità, indotta dalle difficoltà tecniche di una parte che Verdi aveva pensato per la voce della Frezzolini. La cantante ha cominciato molto bene, delineandosi con commossa partecipazione nell'aria «Sempre all'alba ed alla sera»; poi, quando la stanchezza si è fatta sentire, si è appellata all'esperienza e al controllo dei suoi mezzi. Un rilievo inedito assume la parte di re Carlo: sia perché Werner Herzog, fra lunghe aste e cappelli a punta da tribunale dell'Inquisizione, lo raffigura come un Boris, più giovane ma non meno tormentato; sia per lo slancio e la veemenza con cui lo impersona il tenore Vincenzo La Scola: la fervida espressività della sua frase ascendente «E' puro l'aere» (uno dei più bei temi dell'operai era l'attestato più persuasivo del suo innamoramento per la vergine guerriera. Perfettamente a fuoco il Giacomo, padre di Giovanna, tratteggiato dalla bravura e dallo stile del baritono Renato Bruson. «Speme al vecchio era una figlia» gli ha valso una lunga acclamazione personale, ma ogni sua apparizione è incisiva: al rozzo episodio della condanna di Giovanna, con la triplice richiesta di discolparsi, è riuscito a dare una autenticità teatrale che non appare leggendo sullo spartito quelle note tagliate con l'accetta. E' vero che qui il merito va anche all'incalzante scansione di Riccardo Chailly, primo artefice della saldezza dello spettacolo; l'eccellente livello cui ha portato l'orchestra bolognese lo ha manifestato già dalla Sinfonia e confermato negli «a soli» che accompagnano la morte di Giovanna. A me è piaciuto soprattutto nella leggerezza, nella punta di ironia allontanante con cui accendeva le cabalette più aggressive. Al vibrante successo dell'opera di Verdi hanno contribuito anche i cori, istruiti da Romano Gandolfi e Piero Monti, ben caratterizzati nella varietà di soldati, borghigiani, angeli e demoni. Giorgio Pestelli
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