Praga, la fella invoca l'uomo della Primavera di Claudio Gallo

Praga, la fella invoca l'uomo della Primavera L'ex leader torna ad essere il simbolo del rinnovamento, ma non tutti i dissidenti lo amano: «Non è uno dei nostri» Praga, la fella invoca l'uomo della Primavera Dopo ventuno anni Dubcekparla nella capitale Chi avrebbe detto che quell'uomo un po' grigio, quel giardiniere dal passato innominabile, sarebbe tornato a infiammare piazza Vcnccslao? E invece è lì, sul podio, ad assistere al crollo di quella burocrazia che lo aveva cacciato nel nome dell'ortodossia comunista imposta dai carri armati sovietici. Dopo più di venti anni, Alexander Dubcek, l'uomo della Primavera di Praga, è ritornato sulla tribuna della piazza più celebre di Praga e l'altro ieri il suo volto è ricomparso furtivamente sugli schermi della televisione cecoslovacca, durante la manifestazione di Bratislava. La storia politica di Dubcek, nato il 27 novembre 1921 a Uhrovec in Slovacchia, comincia nel 1941, quando, operaio qualificato nelle officine Skoda di Dubnice, entra nelle file della resistenza. Dal 1945 ricopre varie funzioni nella direzione del partito comunista slovacco e diventa deputato dell'Assemblea Nazionale nel 1951. Per tre anni rimane nell'Unione Sovietica alla scuola superiore del partito comunista. Rientrato in patria nel 1958 diventa membro del Comitato centrale del partito. Il 5 gennaio 1968 fa il suo ingresso nella storia. Nominato segretario generale del partito, Dubcek comincia un rapido processo di liberalizzazione che non ha precedenti nel blocco dei Paesi socialisti. Con una glasnost ante litteram, etichet- tata allora «socialismo dal volto umano», Dubcek abolisce in pratica la censura e scioglie il bavaglio a radio e televisione. Circolano nel Paese slogan nuovi: mettono l'accento sull'unicità della rivoluzione in Cecoslovacchia. Rispecchiano la voglia di cambiare ma anche il timore di molestare l'orso sovietico, che allora vegliava con ferocia sull'uniformità del pianeta oltrecortina. Il vento del rinnovamento soffia precocemente su chi s'illude di «scuotere la dittatura di una minoranza e combattere per la libertà di una maggioranza»:. La Primavera finisce il 21 agosto, quando i carri armati sovietici entrano nella capitale e calpestano il sogno di una Cecoslovacchia libera. A Dubcek non viene riservata la fine di Imre Nagy, il leader della rivolta ungherese del '56: la sua lunga militanza nel partito gli ha insegnato l'arte della mediazione e del compromesso. Non ha la stoffa del martire. Viene condotto a Mosca dove fa parte di una delegazione incaricata di negoziare con i dirigenti del Cremlino. Conserva il posto di segretario generale del partito comunista fino al 17 aprile 1969, quando viene sostituito da Gustav Husak. Nel dicembre del 1969, Dubcek è nominato ambasciatore ad Ankara. Ma i nuovi dirigenti fanno a gara per cancellare i resti del recente passato e rassicurare la gerontocrazia del Cremlino che non ci sarà mai più una Primavera. Dubcek è una figura scomoda. Nel maggio 1970 è costretto a rientrare in patria. La stampa cecoslovacca, tornata alla veline del partito, lo definisce traditore e rinnegato. Così Sacha, come lo chiamano gli amici, esce dalla storia per tornare con la moglie a Bratislava. Adesso è una semplice Su a idi a forestale, si occupava' i giardini. La polizia non lo perde d'occhio. I giornali occidentali si ricordano di lui negli anniversari, nel suo Paese non esiste più. Questa vita nell'ombra dura fino alla visita di Michail Gorbaciov a Praga. La sua rivincita comincia il 13 novembre dell'anno scorso a Bologna, quando, alla sua prima uscita dalla Cecoslovacchia dal 1970, 61i viene consegnata la laurea onoris causa in Scienze Politiche. Riapre il libro dei sogni rimasto chiuso per vent'anni. Adesso, con la perestrojka, tutto è più facile. Rinnova la sua fiducia nella possibilità di riformare il socialismo e accende una candela a Gorbaciov professando la sua fede nella «casa comune europea». Così Alexander Dubcek sta forse preparandosi a tornare per una seconda volta nella storia. In Occidente è ancora popolare. Ma tra i dissidenti cecoslovacchi, quelli che hanno sofferto il carcere e la persecuzione dura, la sua figura non desta grandi emozioni: «Non ha mai firmato la Charta 77, non si è mai mescolato al dissenso, è un vecchio signore del passato, non c'interessa». Molti di quelli che hanno continuato a lottare non credono più a che il socialismo possa avere un volto umano. Claudio Gallo