«Ho ucciso Mara, ora vado a morire anchi'io»

«Ho ucciso Mara, ora vado a morire anch' io» Torino, due donne assassinate in poche ore dagli amanti: uno scompare e lascia un biglietto, l'altro si costituisce «Ho ucciso Mara, ora vado a morire anch' io» Preoccupato per debiti, ha lasciato un mazzo di fiorì sul corpo dell'amica TORINO. Uccisa nel sonno, con due colpi di pistola in fronte: l'hanno trovata alle 10,30 di ieri in un alloggio d'un complesso elegante in una zona residenziale. Uccisa dopo una lite, a colpi di mattone in testa: l'hanno trovata alle 14,30 fra i calcinacci d'una stanza povera, in una casa di ballatoi nella periferia della Barriera di Milano. In poche ore due delitti di «passione» nella Torino ricca e in quella più dolente. L'assassino di ballatoio si è costituito nel pomerìggio: «Mi ha aggredito. Non ricordo altro». E fra le sue parole è scivolato un amore difficile, negato forse. L'altro omicida è scomparso: «Ho problemi gravi, non posso lasciarla sola, perdonatemi: vado a morire anch'io», ha scritto in un biglietto. A tarda sera nulla si sapeva di lui: non ce l'aveva fatta a morirle accanto, ma neppure a costituirsi. La vittima dei quartieri alti è Mara Candellari, 36 anni, fino all'anno scorso proprietaria di un negozio d'abbigliamento nel centro di Alba. A spararle, secondo le confessioni scritte su fogli di notes è stato Carlo Calami, 42 anni, ragioniere, titolare di uno studio di contabilità. «E' vivo e non sappiamo dove sia. Si deve far di tutto perché si tranquillizzi, si faccia vivo», dicono polizia e magistrato. La vittima della periferia è Dina Zaramella, 52 anni, fino a qualche tempo fa titolare di una pensione nel centro storico di Torino. A sfondarle la testa è stato Ciro D'Angelo, 47 anni, operaio, che abita in una stanzaccia all'altro lato del cortile di Lungodora Napoli dov'è avvenuto il delitto. «Sono qui per la donna uccisa. Sono stato io», ha detto agli agenti in servizio al portone della questura. Proprio in quel momento i carabinieri, su segnalazione di alcuni vicini, stavano sfondando l'u¬ scio della sua solitaria camera. Si erano conosciuti da ragazzi Mara Candellari e Carlo Calami. I genitori di lei gestivano un ristorante a due passi dal Distretto militare e lui, originario di Magliano Alfieri (Cuneo), era qui per il servizio di leva. Dopo quei giorni s'erano rivisti, ma è stato negli ultimi tempi che, incontrandosi di nuovo, avevano deciso di vivere insieme. Una storia tutta loro, chiusa il più possibile nel grande appartamento di corso Montecucco: «Una donna cortese, gentile. A volte vedevo anche lui, ma non sapevo che vivessero insieme», dice la custode. E spiega: «Qui ci sono altre 4 scale, cento famiglie in tutto, come si fa?». E proprio 11, adagiata nel letto, ò stata trovata Mara Candellari, quando un taxista ha portato ai collaboratori di lui un breve messaggio: «Ho ammazzato Mara. Avvisate la polizia». Nella busta anche le chiavi del¬ l'alloggio. In ufficio ricordano che «il ragioniere» mercoledì era uscito verso le 15: «Oggi sono fuori e non posso chiamarvi. Fate voi». Da quel momento silenzio fino a quella busta con una lettera per Franco Bonatto, il più vicino dei suoi collaboratori, e un'altra per i genitori. Aveva scrìtto a Bonatto: «Scusate se vi lascio in una situazione cosi drammatica. Ho deciso di farla finita». Nell'alloggio del delitto Carlo Calami aveva organizzato tutto con calma. Mentre la donna dormiva, aveva preparato una serio di biglietti, dove si accenna a «problemi gravi» e a «difficolta finanziarie». Finito di scrìvere, le ha sparato in fronte. Sul corpo di lei ha deposto un mazzo di gladioli. Ha abbandonato la pistola. E' uscito. E' scomparso. E' comparso alle 17 un uomo in questura per dire: «L'ho uccisa io». Per un attimo si è pensato che potesse essere Calami. Invece era Ciro D'Angelo e parlava di un'altra donna: Dina Zaramella, 52 anni. Erano le 14,30 quando la figlia Nicoletta, 24 anni, infermiera, tornando dal lavoro, aveva trovato il corpo della madre a terra, nel sangue e nel disordine, proprio nella stanza che la donna stava facendo ristrutturare per lei. A lavorare di mattoni e calce era Ciro D'Angelo, l'uomo piccolo del ballatoio di fronte, nella vecchia casa di tre piani e soffitte sul Lungodora: «Non mi ricordo, davvero. So che abbiamo litigato. Mi pare che lei mi abbia aggredito», ha detto lui negli uffici della mobile. Confuso, ha accennato a un amore con lei. «Adesso sono qui», ha detto al capo della Mobile, Aldo Faraoni, come a sottolineare la fine di tutto. Me reo Nell'otti SERVITI di Gianni Armami Man ad Erio Mascarlno IN CRONACA

Luoghi citati: Alba, Magliano Alfieri, Milano, Napoli, Torino