A Praga si decide nella paura

A Praga si decide nella paura Mosca cerca di pilotare la crisi, oggi decisiva riunione del Comitato centrale A Praga si decide nella paura Dtibcek parla alla folla, monito dei militari PRAGA DAL NOSTRO INVIATO Alexander Dubcek arriva oggi a Praga per assistere all'evento che attende da 21 anni: la caduta del vertice brezneviano insediato nel '68 dai tank del Patto di Varsavia. Il Plenum del Comitato Centrale, convocato per oggi in seduta straordinaria, deciderà se e quali teste offrire ai trecentomila che da quattro giorni scandiscono in piazza San Venceslao il diktat dell'opposizione: «Dimissioni». Il segnale che la ghigliottina è pronta era stampato ieri mattina sul «Rude Pravo», l'ossequioso quotidiano ufficiale del regime improvvisamente contagiato dallo spirito della rivolta: reditonale, molto critico verso il Politbjuro, suonava come una campana a morto per il primo segretario del partito, Milos Jakes. La protesta di Praga, scriveva il «Rude Pravo», dimostra che il vertice comunista non è stato all'altezza della situazione e che «la forma di dialogo proposta non è considerata attraente» dalla popolazione. «La gente non vi ha creduto» e ora «ò necessario trarre le dovute conseguenze». Nella stessa pagina, un inusuale proclama di giornalisti e maestranze ripeteva le accuse al Politbjuro ed esprimeva invece pieno appoggio al capo del governo, Adamec, una pallida figura di riformista che risulterebbe il vero vincitore di uno scontro interno pilotato da Gorbaciov. Fonti diplomatiche assicurano che l'ambasciatore sovietico a Praga, Lomakin, aveva convocato l'altra sera Jakes e il presidente della Slovacchia, anch'egli un «collaborazionista» degli invasori del '68: per comunicare il ben servito. Tuttavia il più stretto collaboratore di Dubcek, Vaclav Slavik, ieri dubitava che la gerontocrazia cecoslovacca si sarebbe arresa senza lottare. Praga vive queste ore cruciali per la storia della Cecoslovacchia con la sensazione di avere ormai la vittoria a portata di mano, e con la paura di illudersi, come nel '68. Sarebbe imminente un secondo incontro tra Adamec e una delegazione del Forum, il «dialogo» diventerebbe l'inizio di un negoziato e la premessa di una «tavola rotonda» anche in Cecoslovacchia, ipotesi di cui si è discusso esplicitamente nell'incontro tra esponenti del comitato centrale comunista e del partito socialista. Ma l'opposizione resta guardinga, allarmata da indizi contraddittori. Ecco nella mattinata diffondersi rapidissima la voce che gli «esdebazi» (da Sdb, l'odiata polizia segreta) hanno occupato la sede della televisione. Di fatto a mezzogiorno l'imponente quadrilatero bianco alla periferia di Praga è pieno di armigeri in divisa; ma anche di dipendenti che ostentano sul cappotto la coccarda cecoslovacca, il distintivo della rivolta. Una di loro, Jivka Stropokova, spiega che «i poliziotti ci impediscono di raggiungere le redazioni, in particolare quella del telegiornale, cui chiediamo di dire finalmente ciò che da giorni si tace, tutta Praga chiede le dimissioni del vertice politico del Paese». A sera, il telegiornale mette in scena le novità e i terrori del regime. «Apre» il viso giocondo di Jakes. Quindi le immagini dei soliti trecentomila di piazza San Venceslao, ma non una parola sulla richiesta di dimissioni: perché non si sappia, se mai Jakes e altri oggi saranno «destinati ad altri incarichi», che in realtà sono stati cacciati dal Paese. Poi uno degli otto per i quali Praga ha chiesto la testa, Milorad Stepan, che dice agli operai: «Sono necessari cambiamenti. Dimissioni? Sì, se necessario». Infine la sorpresa: Dubcek, ftroprio lui, ripreso mentre para in una manifestazione a Bratislava. E' la prima volta che la tv del regime testimonia l'esistenza del simbolo della primavera di Praga, da 20 anni una «non persona». E la decisione di ufficializzare il suo ritorno sulla scena attraverso la tv sembra attestare che Adamec, probabilmente «consigliato» da Mosca, avrà proprio in Dubcek un fondamentale interlocutore. Ma a questo segnale di apertura ne segue un altro, inquietante: il ministro della Difesa, generale Milan Vaklavik, proclama in tv alla nazione che, se necessario, le forze armate difenderanno ad ogni costo «il socialismo». L'intervento è l'api- ce di una serie di minacce che dall'inizio della settimana il regime rivolge al Paese. Finora senza successo alcuno. Una capitale in rivolta di giorno in giorno si sente più forte, man mano che vede allargarsi il vuoto intorno ai dinosauri. Persino la polizia prende le distanze: gli agenti del 9° quartiere di Praga mettono per scrìtto che d'ora in poi l'ordine di caricare deve darlo esplicitamente il partito. Nello stesso pc anche quadri alti passano con l'opposizione. «Non rappresentiamo più l'opposizione, rappresentiamo il Paese», grida dagli altoparlanti di piazza San Venceslao il drammaturgo Vaclav Havel. Forte di questa certezza, e delle adesioni che giungono dalle fabbriche più importanti di Praga, il Forum conferma lo sciopero generale di lunedi Sirossimo. Sarà un braccio di erro decisivo, dal quale, dice Havel ai trecentomila, «dipenderà se diventeremo una democrazia o resteremo soggiogati sotto una oligarchia». Guido RampoMi