Praga esulta: ora il futuro è nelle nostre mani di Guido Rampoldi

Praga esulta: ora il futuro è nelle nostre mani Il regime, assediato dalla protesta, promette «dialogo con le forze sociali» e inchieste sulle brutalità poliziesche Praga esulta: ora il futuro è nelle nostre mani Il primate Tomasek rompe il silenzio: da anni siamo schiavi Gli operai a fianco degli studenti: basta con la dittatura PRAGA DAL NOSTRO INVIATO Alla seconda spallata, il regime ha ceduto. Messo alle corde dagli oltre duecentomila che ieri pomerìggio hanno di nuovo occupato piazza San Venceslao, il primo ministro Adamec ha convocato il Forum civico, l'organismo che da tre giorni coordina la rivolta di Praga, ed ha promesso «dialogo con tutte le forze sociali», ovvero l'avvio di un negoziato con l'opposizione. Secondo quanto riferisce un esponente del Forum, Adamec non avrebbe neppure escluso un governo di coalizione aperto anche a non comunisti (ma di sicuro ha messo in chiaro che il «dialogo» non potrà cambiare la «forma socialista» dello Stato). E comunque ha garantito un'inchiesta sulle brutali cariche dei «berretti rossi» del ministero dell'Interno, venerdì notte, ed ha assicurato che la polizia non interverrà più contro le manifestazioni. Queste vaghe assicurazioni non hanno indotto l'opposizione a sospendere la nuova manifestazione in piazza San Venceslao, prevista per questo pomeriggio, né l'occupazione delle università, come chiedeva Adamec. Il Forum intende prima accertare se la sortita del primo ministro nasconda un disperato tentativo di prendere tempo e patteggiare la sopravvivenza politica dell'oligarchia, oppure se rappresenti 1 inizio del crollo del regime. Un dubbio che potrà essere sciolto solo dal Politburo, riunito anche ieri sera in seduta straordinaria. Del balcone di piazza San Venceslao offerto dalla redazione di «Sobodne Slovo», il giornale del partito socialista, il Forum ieri è tornato a chiedere, tra le ovazioni di una folla sterminata, otto teste, quelle del capo dello Stato, del ministro degli Interni e del vertice del Politburo. Il regime ormai è circondato. L'impressionante prova di forza offerta in se~ata dall'opposizione ha confermato che la ribellione si allarga a macchia d'olio. Scende in campo anche l'anziano cardinale Frantisele Tomasek, primate di una Chiesa tra le più compromissorie dell'Est. Dice il suo messaggio, letto dagli altoparlanti della piazza: «Neppure io posso più stare zitto, da troppi anni siamo in una condizione di schiavitù... (il regime) ci ha trasformato in un Paese del Terzo Mondo». Tomasek chiede libere elezioni e invita «i credenti a far sentire la propria voce, e a unirsi anche a coloro che non credono, perché la libertà non può essere divisa». Infine la frase che racchiude tutto il senso di questi cinque giorni che hanno sconvolto la Cecoslovacchia: «Ora il destino è nelle nostre mani». Si ribellano le stesse creature del sistema. Si affaccia al balco¬ ne di San Venceslao un rappresentante di impiegati e giornalisti della radio, e dice: «Siamo con voi, approviamo tutte le vostre richieste». La folla scandisce: «Finalmente!». Viene letto il messaggio di Karel Gott, cantautore finora sempre allineato. Si avventura al microfono un rappresentante del Comitato centrale della gioventù comunista, e con la voce tremula sposa la necessità del dialogo, ma la folla lo zittisce scandendo: «Troppo tardi». Si attende sul balcone perfino un uomo del Politburo, il grasso Mohorita, primo segretario della gioventù comunista: ma non arriverà. Prendono invece la parola i redattori di «Svobodne Slovo», fino alla settimana scorsa schierato col regime, come il partito socialista, che lo pubblica e come tutta la stampa ceka. Ma le ovazioni più entusiaste le ricevono gli operai. Per tutta la mattinata gli studenti avevano cercato di entrare nelle fabbriche, con risultati controversi. In molti casi erano stati bloccati all'ingresso dalla Milizia popolare, l'organizzazione armata del partito comunista, e respinti talvolta con le pistole. Quelli che avevano potuto raggiungere gli operai avevano incontrato reazioni contrastanti: disinteresse e ostilità ma anche convinte adesioni. Ed ecco il primo risultato: una delegazione della Ckd, l'industria meccanica di Praga; e un'altra che rappresenta i trasporti municipali. E il ragazzo che a nome dei minatori dice al microfono: «Siamo stufi di perdere la salute per questa dittatura, parteciperemo allo sciopero generale di lunedì prossimo. Siamo con voi, insieme a voi chiediamo la libertà per i detenuti politici: finché uno solo di loro resterà in carcere non si potrà parlare di un nuovo clima». Marta Kubiseva, la cantante della «Primavera di Praga», canta l'inno nazionale insieme ai 200 mila che levano le dita alzate nel segno della vittoria. Un volantino passa per migliaia e migliaia di mani; vi è scritto: la polizia segreta ha tappezzato alcune strade di Praga con falsi manifestini che a nome degli studenti invitano ad azioni violente. Dal microfono un ragazzo aggiunge: «Dobbiamo mantenere i nervi saldi, non perdere la testa. Hanno diffuso tante falsità, che dimostrano soltanto questo: il regime è finito». L'ovazione che segue è la più intensa della serata. Per tutta la notte gli studenti asserragliati nelle facoltà occupate avevano convissuto con due voci opposte: la prima, e più creduta, dava per imminente un attacco dei paracadutisti: la seconda, opposta, voleva che gli stessi paracadutisti stessero presic'^ndo l'aeroporto perché l'oligaichia si apprestava ad espatriare. In una notte di ecci¬ tazione rivoluzionaria, decine di studentesse avevano ricopiato a macchina in migliaia di copie, il testo approvato dalle facoltà occupate, aperto dalla richiesta di dimissioni per il vertice della dittatura. E ieri mattina, coi giornali esauriti fin dalle 6, gruppetti di cittadini si riunivano incessantemente davanti a quei manifestini, affissi in tutta Praga. Guido Rampoldi Studenti mostrano una bandiera macchiata di sangue durante la manifestazione di lunedi a Praga

Persone citate: Adamec, Frantisele Tomasek, Karel Gott, Slovo, Tomasek

Luoghi citati: Cecoslovacchia, Praga